Burnout ieri e oggi: un confronto tra passato e presente

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Il burnout è un fenomeno che negli ultimi decenni ha acquisito una crescente attenzione, sia in ambito clinico che sociale. Descritto per la prima volta negli anni ’70 dallo psicologo Herbert Freudenberger, il termine “burnout” è stato inizialmente usato per identificare uno stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale legato principalmente a professioni di aiuto, come medici, infermieri e insegnanti. Con il tempo, la sua applicazione si è estesa ad altri contesti lavorativi e, più recentemente, alla vita quotidiana di molte persone. Analizzare l’evoluzione del burnout permette di comprendere come siano cambiati i fattori scatenanti e le risposte della società.

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Il burnout ieri: chi ne ha parlato per la prima volta?

Negli anni ’70 e ’80, il burnout era principalmente associato a professioni con una forte componente di contatto umano. Freudenberger lo descriveva come il risultato dell’investimento emotivo continuo richiesto da lavori che comportano un elevato coinvolgimento con altre persone. Le prime ricerche si concentravano su professioni ad alta responsabilità, spesso caratterizzate da turni lunghi, pressioni emotive e un senso di obbligo morale.

Come veniva definito il burnout?

Il burnout veniva definito come un disturbo legato allo stress accumulato sul lavoro: poteva derivare da un sovraccarico di lavoro, dall’ambiguità del ruolo svolto, da una mancanza di autonomia e dallo scarso sostegno sociale.

Quali erano i sintomi più frequenti?

Il burnout veniva caratterizzato da una lunga serie di sintomi, quali stanchezza, noia, disinteresse, accresciuta irritabilità, sensazione di non essere compresi, perdita di concentrazione e sentimenti di distacco.

In particolare:

  • Esaurimento emotivo, con una sensazione costante di svuotamento interiore.
  • Depersonalizzazione, ovvero il distacco emotivo nei confronti di colleghi o clienti.
  • Ridotta realizzazione personale, con una percezione di inefficacia o inutilità.

Come veniva curata la sindrome da burnout?

Gli interventi di allora erano limitati e spesso centrati sull’individuo. Si parlava di tecniche di rilassamento, gestione del tempo e supporto psicologico. Tuttavia, mancava una consapevolezza diffusa e una responsabilità organizzativa.

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Nel passato più remoto la sindrome da burnout non esisteva, ma esistevano gli stessi sintomi?

Certamente, altrimenti il medico romano Galeno non avrebbe scritto uno dei primi trattati sull’esaurimento. Come Ippocrate, infatti, Galeno riteneva che tutti i disturbi fisici e mentali potessero essere ricondotti al relativo equilibrio di quattro umori: sangue, bile gialla, bile nera e flegma (catarro).

Un accumulo di bile nera, diceva, rallentava la circolazione dei liquidi nel corpo, intasando i percorsi del cervello e provocando letargia, torpore, stanchezza, indolenza e malinconia.

Con l’avvento del Cristianesimo, l’esaurimento fu visto come un segno di debolezza spirituale, una mancanza di forza di volontà,  dovuta alla lotta dello “spirito contro la carne”.

Le spiegazioni religiose e astrologiche continuarono ad abbondare fino alla nascita della medicina moderna, quando i medici iniziarono a diagnosticare i sintomi della stanchezza fisica e psicologica come “nevrastenia“. I medici del tempo capivano che i nervi potevano trasmettere segnali elettrici e ritenevano che i soggetti con nervi deboli potessero dissipare energia, come avviene per un filo elettrico male isolato.

Diversi personaggi ottocenteschi ricevettero la diagnosi di “nevrastenia”: fra gli altri, Oscar Wilde, Charles Darwin, Thomas Mann e Virginia Woolf.  Anche allora i medici facevano critica sociale e attribuivano questo malessere ai cambiamenti dovuti alla rivoluzione industriale, sebbene avere i nervi “delicati” nella classe sociale più elevata fosse visto al tempo come un segno di raffinatezza e intelligenza: alcuni pazienti languivano con orgoglio nella loro “nevrastenia” (la nevrastenia oggi è praticamente scomparsa dalla medicina moderna, anche se in Cina e in Giappone la si diagnostica ancora, secondo alcuni per evitare di parlare apertamente di depressione, malattia che conserva ancora un certo stigma nei paesi orientali).

Molte persone dunque, nel corso della storia, si sono sentite stanche ed esauste come accade alle persone dei nostri tempi, il che potrebbe far pensare che la stanchezza e l’esaurimento potrebbero essere in realtà aspetti della condizione umana.

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Il burnout oggi: cosa è cambiato?

Negli ultimi anni, il burnout è diventato un fenomeno globale, riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2019 come una sindrome legata al lavoro. Tuttavia, il contesto in cui si manifesta è cambiato. L’era digitale, la pandemia da COVID-19 e la crescente competitività hanno trasformato sia i fattori di rischio che le forme in cui il burnout si presenta.

Molti ritengono che il nostro cervello non sia adatto per affrontare il moderno ambiente di lavoro. La crescente enfasi sulla produttività, e la pressione psicologica di dover dimostrare il proprio valore attraverso il lavoro, lascia i lavoratori in uno stato permanente di “lotta o fuga”.

Questa condizione era utile un tempo per affrontare il pericolo acuto (difendersi da una belva, catastrofi naturali, ecc.), ma non è adatta per affrontare gli stress prolungati della vita moderna, in quanto peggiora le cose.

Affrontare questo tipo di pressione, giorno dopo giorno, produce infatti una costante ondata di ormoni dello stress, che stancano la mente e il corpo, senza essere di aiuto per la soluzione dei problemi. Inoltre, per la maggior parte delle persone, la pressione non finisce con il lavoro.

Questa cultura 24 / 7  (24 ore su sette giorni) può rendere difficile il riposo a qualsiasi ora del giorno e della notte. Senza alcuna possibilità di ricaricare la mente e il corpo, si ritiene oggi che le “batterie umane” continuino a funzionare a livelli pericolosamente bassi.

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Quali sono i fattori scatenanti del burnout negli ultimi tempi?

Sono principalmente i seguenti:

  • Digitalizzazione: la costante connessione digitale ha eliminato i confini tra vita lavorativa e personale. Email, notifiche e piattaforme di lavoro remoto contribuiscono a un sovraccarico informativo e alla difficoltà di “staccare”.
  • Gig economy: il lavoro precario e la mancanza di stabilità contribuiscono a un senso di insicurezza che favorisce il burnout.
  • Cultura della performance: la pressione per ottenere risultati eccellenti in ogni aspetto della vita ha esteso il burnout a studenti, genitori e perfino adolescenti.

Quali sono i nuovi sintomi?

Sono principalmente i seguenti:

  • Ansia costante e senso di colpa per non essere abbastanza produttivi.
  • Alienazione digitale, ovvero un senso di distanza dai rapporti umani a causa dell’intermediazione tecnologica.
  • Sovraccarico decisionale, legato alla necessità di prendere decisioni rapide in contesti incerti.

Alla base del burnout può esserci un problema caratteriale?

Si, sicuramente alla base del burnout c’è un problema caratteriale, ma anche il contesto lavorativo è un fattore molto importante. Se si ha a che fare con alti livelli di stress infatti, è altamente probabile che una persona avverta un certo livello di burnout, anche se ha un carattere tranquillo ed equilibrato.

Dr. Giuliana Proietti
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Il burnout potrebbe essere una forma di depressione?

In effetti, molti sostengono che il burnout sia solo una “versione di lusso della depressione“, un’etichetta creata ad hoc per i professionisti di alto livello, in una visione altamente competitiva della vita e del lavoro nella quale solo i perdenti si ammalano di depressione, mentre il burnout è una diagnosi per i vincitori o, più specificamente, per ex-vincitori.

In generale, tuttavia, tra burnout e depressione vi sono molte differenze: la depressione infatti comporta una perdita di fiducia in se stessi, o addirittura sentimenti di disprezzo verso se stessi; questo non succede nel burnout, situazione in cui la rabbia non è generalmente rivolta contro di sé, ma piuttosto contro l’organizzazione per la quale si lavora, o verso i clienti, o verso il più ampio sistema socio-politico o economico che non riesce a cambiare le condizioni del proprio lavoro.

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Immagine: Pxhere

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