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Ansia e depressione in eterosessuali e gay

Ansia e depressione in soggetti eterosessuali e gay

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Non esistono ancora molti studi in proposito, ma sembra che le persone che appartengono alle minoranze sessuali (LGB) possano soffrire di depressione e di disturbi d’ansia più frequentemente rispetto alle persone eterosessuali.

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Una spiegazione per queste disparità nella salute psicologica è offerta dal modello di stress per le minoranze sessuali. Questo modello identifica diversi tipi di stress che vivono le minoranze sessuali, tra cui la vittimizzazione durante l’infanzia e l’età adulta (Meyer 2003). Diversi studi sulle minoranze sessuali hanno infatti dimostrato che le esperienze di rifiuto a causa dell’orientamento sessuale sono correlate a problemi di salute psicologica, come la depressione e la tendenza al suicidio (De Graaf et al 2006; Zietsch et al 2012).

Dal punto di vista del modello del minority stress, la maggiore prevalenza di consumo di sostanze fra lesbiche, gay e bisessuali  (LGB) (Meyer 2003) potrebbe essere vista come un meccanismo per affrontare lo stress. E’ stato inoltre dimostrato che gli individui che da adulti si identificano in persone lesbiche, gay o bisessuali (LGB), nel periodo dell’infanzia possano essere stati oggetto di atti di bullismo da parte dei compagni, oppure che si siano sentiti incompresi e maltrattati dai loro genitori (Gevonden et al., 2014).

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Precedenti ricerche si sono occupate di mettere a confronto soggetti omosessuali e eterosessuali riguardo ai disturbi borderline (Zubenko et al 1987; Dulit et al 1993;. Grant e Potenza 2006; Bradford et al 2008).  E’ stato trovato, ad esempio, che i pazienti con un disturbo di personalità borderline hanno probabilità significativamente più elevate, rispetto ai pazienti con altri disturbi di personalità, di essere omosessuali o bisessuali.

Uno studio di recente pubblicazione (Henny M W Bos, Lynn Boschloo, Robert A Schoevers, Theo G M Sandfort, 2015) si è invece occupato di mettere a confronto pazienti depressi e ansiosi omosessuali e eterosessuali per valutare nei due gruppi le espressioni cliniche di questi sintomi (severità dei sintomi e isolamento sociale), i fattori relativi allo stile di vita (ad esempio uso di sostanze), e altri indicatori di vulnerabilità (ad esempio esperienze infantili stressanti).


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Risultati: l’espressione clinica del tono dell’umore e dei disturbi d’ansia (compresa la severità della malattia e l’isolamento sociale) non sembrano differire tra omosessuali ed eterosessuali, maschi e femmine, anche per quanto riguarda l’isolamento sociale. Tuttavia, è stata scoperta qualche differenza sostanziale che dovrebbe essere tenuta in considerazione come probabile causa aggravante.

Lo studio di Bos e colleghi (n = 122; 54 uomini e 68 donne), condotto nei Paesi Bassi, mostra infatti che il 6,9% dei pazienti con disturbi depressivi  e / o disturbi d’ansia nel precedente anno sono omosessuali. Questa percentuale è più elevata rispetto a quella riscontrata nel Netherlands Mental Health Survey and Incidence Studies (NEMESIS), uno studio longitudinale sulla incidenza, la prevalenza e le conseguenze dei problemi di salute mentale nella popolazione generale compresa tra 18 e 64 anni d’età, nei Paesi Bassi. Nel NEMESIS II (dati raccolti nel periodo 2007-2009), ad esempio, solo il 2,2% del campione potrebbe essere identificato come una minoranza sessuale (Gevonden et al. 2014).

La percentuale relativamente alta (cioè il 5,7%) delle pazienti con disturbi d’ansia e depressione è in linea con lo studio statunitense di Bostwick,  il quale ha riscontrato tra le donne bisessuali i più alti tassi di disturbi d’ansia e del tono dell’umore rispetto alle donne eterosessuali, ma anche rispetto alle donne lesbiche (Bostwick et al. 2010). Poiché il livello di istruzione è risultato più elevato tra le omosessuali, si è pensato che esso potesse aver avuto un effetto protettivo in questo campione di pazienti.  Un altro effetto protettivo è dato dalla possibilità di parlare apertamente del proprio orientamento sessuale: in questo caso i livelli di cortisolo possono diminuire, così come minori possono essere i sintomi psicopatologici, rispetto alle persone che non hanno il coraggio di fare coming out. (Juster et al. 2013).

Per quanto riguarda l’uso di sostanze, è stato già documentato un maggiore rischio di uso di sostanze in donne appartenenti a minoranze sessuali rispetto a donne eterosessuali (Burgard et al 2005; Hughes et al 2010). Non è ancora chiaro se questo uso di sostanze sia dovuto alla percezione dello stigma sociale, o sia espressione di uno stile di vita non propriamente sano presente nella comunità lesbica e bisex.

Per i fattori di vulnerabilità si è osservato che le esperienze di abuso sessuale durante l’infanzia sono l’unico fattore traumatico infantile sul quale si riscontra  una differenza significativa tra i pazienti depressi o ansiosi omosessuali maschi e eterosessuali maschi. Altri studi avevano già mostrato che, rispetto agli uomini eterosessuali, gli uomini gay e bisessuali dichiarano più frequentemente di aver subito un abuso sessuale infantile (Corliss et al 2002; Balsam et al 2005; Friedman et al 2011).

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In conclusione, anche se lo studio di Bos et al. non ha trovato alcuna associazione tra orientamento sessuale e patologie d’ansia e di depressione i risultati indicano tuttavia significative differenze nello stile di vita (fra le donne lesbiche) e altri indicatori di vulnerabilità, come l’abuso infantile (fra gli omosessuali maschi) che potrebbero essere cause di insorgenza dei disturbi di ansia e depressione. Le donne non eterosessuali fanno infatti maggiore uso di sostanze (a causa dello stress che comporta l’essere parte di una minoranza sessuale?), mentre fra gli uomini omosessuali si riscontrano molto spesso traumi infantili di abuso, che potrebbero avere avuto un impatto nell’eziologia della depressione e / o disturbi d’ansia.

Occorre dunque prestare adeguata attenzione all’uso di sostanze nelle donne lesbiche e ai traumi infantili negli omosessuali maschi quando si prendono in cura questi soggetti per problemi di depressione e / o disturbi d’ansia.

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Fonte:
Henny M W Bos,Lynn Boschloo,Robert A Schoevers, Theo G M Sandfort, Depression and anxiety in patients with and without same-sex attraction: differences in clinical expression, lifestyle factors, and vulnerability indicators, Brain Behav. Sep; 5(9): e00363. 2015

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Le tecniche di rilassamento

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La medicina complementare e alternativa e la medicina integrativa hanno messo a punto degli approcci di auto-gestione dello stress sempre più utilizzati, perché sono una valida alternativa ai farmaci e, in ogni caso,  possono contribuire a migliorare la salute e il benessere delle persone sottoposte ad una vita particolarmente stressante.

Queste sono le tecniche di rilassamento più frequentemente utilizzate:

Riduzione dello stress basata sulle tecniche mindfulness (MBSR)

Lo Stress Reduction Mindfulness-Based è un programma sviluppato circa 30 anni fa dal Dr. Jon Kabat-Zinn , che ora si è evoluto in un programma di gruppo strutturato. Esso utilizza la meditazione come strumento per coltivare la consapevolezza  e l’accettazione in modo non giudicante. L’MBSR è stato utilizzato per aiutare persone sotto stress, con dolore cronico, ansia, difficoltà di gestione del sonno, mal di testa [Chiesa A, Serretti A., 2009; Grossman P, Niemann L, Schmidt S, Walach H., 2004]. Il programma di MBSR è generalmente costituito da otto lezioni a cadenza settimanale e di un giorno completo di ritiro per dedicarsi a pratiche di meditazione mindfulness, stretching e yoga, discussioni di gruppo intese a sensibilizzare sugli aspetti individuali della vita quotidiana, stabilendo compiti a casa, da svolgere tutti i giorni.

Gestione Cognitivo Comportamentale dello Stress  (BCSM)

Il Cognitive Behavioral Stress Management è un programma multimodale adattato da diverse tecniche di meditazione e strategie cognitivo-comportamentali e viene utilizzato da oltre 20 anni. Il BCSM viene utilizzato per aiutare le persone a far fronte agli eventi stressanti, migliorando la qualità della vita, il benessere psicologico, ecc. [Brown JL, Vanable PA., 2008]. Il programma dura generalmente dieci settimane e mette insieme tecniche di rilassamento, visualizzazioni, respirazione profonda, insieme con tecniche di terapia cognitivo-comportamentale. E’ stato progettato per ridurre la tensione del corpo, i pensieri stressanti intrusivi, gli stati d’animo negativi e migliorare le capacità di comunicazione interpersonale [Antoni MH, Lutgendorf SK, Blomberg B, et al., 2012 ].

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Training Autogeno (TA)

Il Training Autogeno è stato sviluppato dallo psichiatra tedesco Johannes Schultz nel 1932. L’obiettivo del TA è quello di raggiungere un profondo rilassamento e ridurre lo stress insegnando al corpo a rispondere a comandi verbali che inducono al rilassamento e al controllo della respirazione, così come al controllo della pressione sanguigna, del battito cardiaco, e della temperatura corporea [Kanji N, White AR, Ernst E., 2006]. Esso comprende esercizi standardizzati per imparare a percepire il proprio corpo caldo, pesante, e rilassato.

Relaxation Response Training (RRT)

Questo approccio per la gestione dello stress fu pubblicato nel 1974 dal cardiologo Benson et al. [ Benson H, Beary JF, Carol MP, 1974]. Benson osservò che la meditazione era legata a una generale inversione dell’attivazione del sistema simpatico che produce la “risposta allo stress” (cioè, diminuzione del consumo di ossigeno, produzione di anidride carbonica, frequenza respiratoria e ventilazione) [Dusek JA, Chang B-H, Zaki J, et al. , 2006]. L’RRT era originariamente basato sulla meditazione trascendentale ma poi se ne è differenziato, concentrandosi su quattro elementi, che suscitano la risposta di rilassamento: (1) uno stimolo per iniziare il rilassamento (ad esempio, un suono, una parola o frase ripetuta in silenzio ); (2) un atteggiamento passivo (ad esempio, non preoccuparsi di quanto si stia eseguendo bene la tecnica); (3) una diminuzione del tono muscolare (ad esempio, assumere una postura rilassata); e (4) un ambiente tranquillo con stimoli ambientali minimi (ad esempio, rilassarsi in un luogo di culto) [29].

Yoga e altre tecniche di meditazione

Vi sono tantissime tecniche di meditazione ispirate allo yoga, che mostrano di essere efficaci nella riduzione dello stress e nella conquista di uno stato generale di benessere. Si basano sia sulla meditazione, sia su esercizi fisici per il corpo.

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Tecniche di Rilassamento e Ipnosi


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Altri programmi per il rilassamento mente-corpo

Un’altra categoria di programmi che non rientrano in nessuna delle categorie precedentemente citate sono quelle che combinano tecniche di rilassamento, come il rilassamento muscolare progressivo con controllo della respirazione, immaginazione guidata e terapia cognitivo-comportamentale (CBT).

La terapia cognitivo-comportamentale è un approccio psicoterapeutico consolidato ed efficace per curare disturbi come l’ansia e la depressione [Feng C-Y, Chu H, Chen C-H, et al, 2012,Gould RL, Coulson MC, Howard RJ., 2012], che aiuta le persone a riconoscere i pensieri disfunzionali, ad elaborare strategie di riformulazione, e a cambiare le reazioni conseguenti ai comportamenti. Un esempio è un programma di CBT che riguarda comprensione delle reazioni allo stress, tecniche di rilassamento,  tecniche di ristrutturazione cognitiva (ad esempio, capacità di parlare a se stessi in situazioni di stress) [Mueser KT, Rosenberg SD, Xie H, et al., 2008]

L’immaginazione guidata (GI) è una tecnica di rilassamento che si concentra sulla fantasia per produrre un cambiamento terapeutico. La GI spesso include suggerimenti per la respirazione e il rilassamento, seguiti dalla visualizzazione di scene di relax per migliorare l’esperienza multisensoriale.

Tutti i programmi descritti in questo articolo, dal momento che in primo luogo riguardano le capacità di autogestione, possono facilmente essere utilizzati come forme di auto-potenziamento e essere utilizzati in qualsiasi ambiente, senza richiedere molto tempo o presentare effetti collaterali. Si tratta in genere di strategie efficaci, fra cui scegliere quella più adatta alla propria personalità.

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Fonte:
Crawford, C., Wallerstedt, D. B., Khorsan, R., Clausen, S. S., Jonas, W. B., & Walter, J. A. G. (2013). A Systematic Review of Biopsychosocial Training Programs for the Self-Management of Emotional Stress: Potential Applications for the Military. Evidence-Based Complementary and Alternative Medicine : eCAM, 2013, 747694. http://doi.org/10.1155/2013/747694

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Ansia sociale nella popolazione cinese

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L’ansia sociale viene considerata un disturbo sperimentato a livello planetario, da persone di diverse etnie e appartenenti a culture diverse. E’ chiaro però che le differenti culture possono portare le persone a vivere e a manifestare gli stati d’ansia in modi diversi.

Numerosi studi hanno infatti mostrato che l’espressione e l’interpretazione dei sintomi di ansia sociale variano moltissimo tra le varie culture [Marques L, Robinaugh DJ, LeBlanc NJ, Hinton D, 2011] e che queste differenze potrebbero essere causate da diversità nel modo di gestire le relazioni sociali, o anche dal differente modo in cui può essere percepito lo status sociale delle persone con cui si interagisce [Hsu L, Woody SR, Lee HJ, Peng Y, Zhou X, Ryder AG, 2012].

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Gli studi interculturali sull’ansia sociale hanno lo scopo dunque di comprendere meglio le caratteristiche specifiche di questo determinato disturbo nelle diverse culture. Ad esempio, alcuni studi hanno mostrato che gli asiatici americani riportano un livello di ansia sociale significativamente più elevato rispetto agli americani bianchi, sia adulti, sia adolescenti [Okazaki S., 2000, Zhou X, Xu Q, Inglés CJ, Hidalgo MD, La Greca AM, 2008].

Gli studi condotti su soggetti asiatici hanno però in genere riguardato asiatici americani, che vivono in Nord America. In questo caso, questi soggetti sono cresciuti in una società occidentale, anche se come minoranza etnica, e dunque in un ambiente prevalentemente non-asiatico. E’ difficile dunque comprendere se si tratta di caratteristiche dovute all’etnia o all’ambiente culturale in cui sono vissuti. La gestione dell’ansia di questi asiatici nordamericani potrebbe essere completamente diversa rispetto a quanto sperimentato da persone asiatiche che vivono in Asia, dove gli asiatici sono, ovviamente, la maggioranza.

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Inoltre, anche il termine di soggetto “asiatico” può essere un po’ troppo generico: infatti, esso potrebbe non rappresentare in toto il popolo cinese, o qualsiasi altro gruppo etnico asiatico, per cui per conoscere quale sia la reale condizione dei soggetti cinesi rispetto all’ansia sociale o a qualsiasi altro tipo di disturbo, occorre studiare un campione di cinesi residenti in Cina.

Un altro discorso andrebbe fatto sull’interpretazione dei dati. E’ chiaro infatti che un ricercatore occidentale, pur in possesso di dati corretti, può essere portato a studiare la materia dal punto di vista degli occidentali [Chang W. C., 2000], arrivando a conclusioni che rispecchiano il punto di vista di un occidentale.

Ad esempio, spesso vengono utilizzati per queste ricerche interculturali dei test validati in occidente, senza alcun cambiamento: eppure, non solo le espressioni comportamentali, ma anche le stesse espressioni linguistiche per descrivere disturbi come l’ansia sociale potrebbero essere molto diverse.

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Per quanto riguarda lo studio dei soggetti cinesi va anzitutto osservato che essi attribuiscono molta importanza alle relazioni interpersonali e all’armonia sociale [Triandis H. C., 1989]. Di conseguenza, l’ansia sociale tra i cinesi potrebbe emergere in gran parte dall’attenzione che ogni individuo presta all’impatto sociale dei suoi comportamenti.

L’esperienza dell’ansia sociale per un cinese potrebbe dunque non riguardare solo le esperienze soggettive della persona, ma estendersi anche alle preoccupazioni vissute per il giudizio degli altri e per il riflesso sociale delle proprie azioni. E’ fondamentale infatti per un cinese assumere la prospettiva degli altri oltre quella del proprio sé, per mantenere delle buone relazioni sociali [Markus H. R., Kitayama S., 1991].

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Un recente studio di Fan, Q., & Chang, W. C. (2015) ha tentato di superare i limiti delle ricerche precedenti sui soggetti asiatici e in particolare cinesi, per capire meglio l’ansia sociale sperimentata da un individuo che vive in una società dove la cultura dominante è quella cinese.

I risultati partono dalla premessa che il gruppo sociale cinese deve essere considerato in senso verticale, nel senso che viene data molta enfasi alla gerarchia e ci si aspetta che le persone debbano sempre sacrificare i propri interessi in favore del gruppo [Triandis HC, 2001]. Questo implica un fattore ansiogeno non conosciuto in occidente.

I risultati dello studio mostrano infatti che in Cina l’ansia sociale viene sperimentata soprattutto quando le persone sentono un eccessivo bisogno di approvazione da parte degli altri e quando si ha paura del rifiuto o dell’abbandono.

Anche la genitorialità cinese ha delle specifiche caratteristiche culturali rispetto alle società occidentali, per cui anche in questo caso non è sempre facile comprendere i rapporti di causa-effetto.

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Nel sistema cinese infatti, i genitori  sono tenuti a prendersi cura dei figli di ogni età, fino al punto di sacrificare i propri bisogni  per garantire il meglio ai propri figli [Chang W. C., Setoh P, 2006]. Inoltre, essi sono tenuti a mostrarsi particolarmente rigorosi nel regolare i comportamenti del figlio; un alto valore viene inoltre dato all’obbedienza del bambino al volere dei genitori [Ho D. Y. F., 1996]. Questo rigore viene atteso e messo in atto soprattutto per il “bene” del bambino, cioè per aiutarlo nell’auto-disciplina, affinché abbia un sano sviluppo psicofisico e raggiunga i suoi obiettivi [Chang W. C., Tan P., Koh J. B. K, 2004].

Secondo lo studio citato tuttavia, questo particolare rigore, anche se interpretato come manifestazione di alcuni comportamenti specifici culturali, sembra possa portare a maggiori esperienze di ansia sociale, oltre che a problemi di salute mentale nel lungo termine.

I risultati mostrano che i cittadini cinesi hanno maggiori probabilità di soffrire di ansia sociale quanto più essi sono sensibili ai segnali di punizione, o alla mancata gratificazione a seguito dei propri comportamenti negativi. Più un individuo percepisce il suo rapporto funzionale con il gruppo di appartenenza, maggiore sarà il suo livello di ansia, dovuta al giudizio degli altri.

Pertanto, poiché nella cultura cinese quando gli interessi di un individuo sono in conflitto con quelli del gruppo l’individuo, come principio morale, deve sempre sacrificare i suoi interessi personali, una delle conseguenze è quella dello sviluppo di un’intensa ansia sociale.

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Fan, Q., & Chang, W. C. (2015). Social Anxiety among Chinese People. The Scientific World Journal, 2015, 743147. http://doi.org/10.1155/2015/743147

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Il disturbo da ansia sociale

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Il disturbo da ansia sociale consiste in paura, apprensione, preoccupazioni, nei confronti di situazioni sociali o di situazioni in cui ci si sente valutati dagli altri. [Schlenker BR, Leary MR, 1982]. L’esperienza dell’ansia sociale può variare molto da individuo a individuo, sia in frequenza, sia in gravità dei sintomi.  [Alden LE, Taylor CT, 2004].

L’esperienza di livelli importanti di ansia sociale può facilmente condurre un individuo all’isolamento o all’evitamento delle interazioni con altri significativi, oppure alla messa in atto di comportamenti inadeguati  [Kearney C. A., 2004, Panayiotou G., Karekla M., Mete I., 2014].

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Poiché l’interazione sociale è necessaria alla vita di tutti i giorni, un livello abbastanza serio di ansia sociale viene considerato una condizione debilitante, che interferisce significativamente con la capacità di godere di una sana vita sociale. Inoltre si è dimostrato che le persone che soffrono di ansia sociale sono maggiormente predisposte ad altre malattie, come il disturbo depressivo maggiore o l’abuso di sostanze.  [Ham L. S., Connolly K. M., Milner L. A., Lovett D. E., Feldner M. T., 2013; Kaufman E. A., Baucom K. J. W. , 2014].

La ricerca ha mostrato che l’ansia sociale è il risultato dello sviluppo di una serie di fattori di rischio, tra cui fattori genetici, esperienze di attaccamento insicuro, inadeguati stili genitoriali, pregiudizi nella elaborazione delle informazioni,  fattori temperamentali, e aspetti contestuali più ampi, come l’etnia e la cultura [Ollendick TH, Hirshfeld-Becker DR, 2002] .

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Gli individui con uno stile di attaccamento evitante tendono a negare i propri bisogni emotivi e a percepire gli altri come inaffidabili, per cui è difficile per loro sviluppare relazioni intime con altri soggetti significativi.

Gli individui con stile di attaccamento ansioso possono invece sottovalutare se stessi e sopravvalutare gli altri nei rapporti interpersonali, oltre che avere preoccupazioni per l’eventuale abbandono o rifiuto da parte degli altri [Bartholomew K, Horowitz LM, 1991]. Pertanto, un attaccamento evitante limita le opportunità di mantenere le relazioni intime, e un attaccamento ansioso conduce a pensieri e comportamenti errati, che vengono agiti nelle situazioni interpersonali in modo disadattivo.

La teoria dell’attaccamento postula inoltre che lo sviluppo dei legami di attaccamento è influenzato dal rapporto tra il bambino e chi si prende cura di lui/lei. I bambini che hanno genitori inaffidabili e non disponibili, possono sviluppare un approccio disadattivo nei rapporti interpersonali, con comportamenti di evitamento o comportamenti esigenti, che possono creare ulteriori stati di ansia nelle varie situazioni sociali [Ollendick TH, Benoit KE, 2012].

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In particolare, i bambini hanno maggiori probabilità di soffrire di un elevato livello di ansia sociale se i loro genitori sono esigenti e direttivi e al bambino viene insegnato il valore dell’obbedienza, senza mai mostrare comportamenti di comprensione o di supporto. Pertanto, una genitorialità caratterizzata da scarse manifestazioni di affetto e da elevati livelli di controllo è spesso causa di ansia sociale dei bambini.

La ricerca ha inoltre mostrato come la timidezza e l’inibizione verso una persona sconosciuta, un oggetto, un sentimento, possono essere degli antecedenti importanti dell’ ansia sociale [Degnan KA, Henderson HA, Fox NA, Rubin KH, 2008] per cui, visto che questo disturbo potrebbe ostacolare in modo significativo lo stato di benessere psicologico vissuto da una persona, o impedirne un sano sviluppo, molte sono state le ricerche che, in questi ultimi anni, hanno cercato il modo per diagnosticare in tempo i problemi e curare i sintomi.

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Fonte:
Fan, Q., & Chang, W. C. (2015). Social Anxiety among Chinese People. The Scientific World Journal, 2015, 743147. http://doi.org/10.1155/2015/743147

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Lo studio del benessere soggettivo è cresciuto notevolmente negli ultimi tre decenni e conta già più di 12.000 pubblicazioni nel 2012 [Diener E., 2013]. Nella maggior parte degli studi è stata seguita la formulazione tripartita di benessere soggettivo come originariamente proposta da Diener  [Diener E., 1984; Diener E, Suh EM, Lucas RE, Smith HL, 1999]. Secondo questa formulazione il benessere soggettivo è un costrutto multidimensionale costituito da tre componenti separate:

(1) la presenza di emozioni positive;

(2) la relativa mancanza di emozioni negative;

(3) la valutazione globale delle persone sulle loro condizioni di vita.

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La felicità e le emozioni (positive e negative) sono componenti essenziali del benessere soggettivo. La felicità è naturalmente data dalla preponderanza delle emozioni positive su quelle negative, ma anche dalla valutazione complessivamente positiva della propria vita. La valutazione sulla soddisfazione generale della vita può essere vista come una valutazione prevalentemente cognitiva della qualità delle esperienze vissuta dalla persona, che riguardano tutta la vita. La generale soddisfazione di vita si riferisce dunque a condizioni di lungo termine; esse differiscono  nettamente dall’umore condizionato momentaneamente da specifiche emozioni positive e negative, come può accadere nella vita quotidiana, o in determinati periodi [DeNeve KM, Cooper H., 1998].

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Una vasta letteratura empirica dimostra che le persone che si sentono più felici ottengono migliori risultati nella vita, tra cui benessere economico, relazioni stabili su cui contare, salute mentale, salute fisica e longevità. Studi prospettici e longitudinali dimostrano che la felicità spesso precede e prevede questi risultati positivi, piuttosto che esserne un derivato [Diener E., 2013-Diener E, Suh EM, Lucas RE, Smith HL., 1999, Lyubomirsky S, King L, Diener E., 2005].

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Alcuni studi hanno mostrato che persone con una diagnosi di malattia mentale tratta dal DSM-IV continuavano a provare, nonostante una patologia considerata abbastanza grave, un certo benessere soggettivo, come si vede dall’analisi dell’Adult Psychiatric Morbidity Survey for England [2007].

Vi sono altri studi che confermano questi dati, ma in particolare è tenuto in considerazione quello di Rapaport [Rapaport MH, Clary C, Fayyad R, Endicott , 2005].
In questo studio le persone che mostravano un minore livello di felicità rispetto alla norma (due o più deviazioni standard) erano le persone che avevano ricevuto una diagnosi di: disturbo depressivo maggiore (63%), doppia depressione /cronica (85%), disturbo di distimia (56%), disturbo da attacchi di panico (20%), disturbo ossessivo-compulsivo (26%), fobia sociale (21%), disturbi premestruali (31%), disturbo post traumatico da stress (59%).

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Come si vede dunque, non tutti i depressi cronici hanno una soddisfazione di vita inferiore alla media, così come quasi l’80 per cento delle persone con fobia sociale hanno una soddisfazione di vita abbastanza simile a chi non vive questi problemi.

Oltre alla presenza/assenza della psicopatologia, anche i tratti di personalità possono essere dei determinanti personali di felicità. Deneve e Cooper [1998] hanno eseguito una meta-analisi della ‘personalità felice’ sulla base di 197 campioni. Le più importanti caratteristiche di personalità relative alla felicità (tratte dal Big Five Questionnaire, test di personalità)  sono risultate quelle della estroversione (r complessivo = .27) e  della stabilità emotiva (nel complesso r = -.25). Una più recente meta-analisi di Steel et al. [2008], sulla base di 347 campioni, ha ugualmente indicato forti legami fra personalità e benessere soggettivo. Anche in questo studio i tratti di personalità del Big Five relativi a estroversione (r complessivo = .35) e stabilità emotiva (nel complesso r = -.30) sono stati più fortemente e costantemente associati con la felicità.

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Fondamentalmente, i dati relativi alla stabilità emotiva e all’estroversione sono anche i tratti di personalità del Big Five più direttamente associati alle differenze individuali in campo psicopatologico (quando sono di livello inferiore alla media).  Molti disturbi psicopatologici sono stati infatti associati ai bassi livelli di estroversione ottenuti nel Big Five, in particolare per quanto riguarda il disturbo distimico e di ansia sociale [Kotov R, Gamez W, Schmidt F, Watson D., 2010].

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Fonte:
Philip Spinhoven,Bernet M. Elzinga,Erik Giltay,Brenda W. J. H. Penninx, Anxious or Depressed and Still Happy?

Immagine:
Wikimedia

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