L’altruismo: un’analisi psicologica

L’altruismo: un’analisi psicologica

Intervista sull'ipnosi

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L’altruismo è un’azione volontaria finalizzata ad aiutare gli altri, senza un’apparente ricompensa immediata. Questo comportamento è stato oggetto di studio in diversi ambiti, dalla psicologia evoluzionista alle neuroscienze, fino alla sociologia. Cerchiamo di saperne di più.

Cosa spinge ad essere altruisti?

Dal punto di vista evoluzionistico, l’altruismo sembra contraddire il principio della selezione naturale, che privilegia la sopravvivenza dell’individuo. Tuttavia, la teoria della selezione di parentela proposta da William Hamilton (1964) suggerisce che gli esseri umani e molte altre specie animali siano inclini ad aiutare i propri consanguinei per aumentare le probabilità di trasmissione dei propri geni. Hamilton scrisse anche una formula: rB>CrB > C

dove r è il grado di parentela, B il beneficio per il destinatario e C il costo per chi compie l’azione altruistica.

Molti organismi si comportano, per questa ragione, in modo poco vantaggioso per le proprie possibilità di sopravvivenza, ma con il loro comportamento regalano possibilità riproduttive ad altri organismi. Ad esempio, una scimmia che vede dei predatori, dà subito l’allarme, per salvare la vita di altre scimmie, anche se questo gesto probabilmente la metterà in pericolo. In qualsiasi gruppo sociale, animale o umano, avere degli individui altruisti permette dunque di avere più chances per la sopravvivenza e l’evoluzione del gruppo.

Un’altra spiegazione viene dalla teoria della reciprocità di Robert Trivers (1971), secondo cui gli atti altruistici possono aumentare le probabilità di ricevere aiuto in futuro, favorendo così la sopravvivenza a lungo termine.

Molti atti altruistici sono dovuti al fatto che le persone rispondono in modo empatico quando vedono la sofferenza degli altri e sentono di poter dare aiuto, magari perché hanno vissuto essi stessi quelle stesse esperienze negative.

Walter La Gatta
psicologo psicoterapeuta sessuologo
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Come viene spiegato l’altruismo su basi neuroscientifiche?

Numerosi studi di neuroimaging hanno identificato specifiche aree cerebrali coinvolte nei comportamenti altruistici. In particolare:

  • Corteccia prefrontale ventromediale (VMPFC): coinvolta nella valutazione del valore delle azioni e nell’empatia.
  • Striato ventrale: parte del sistema della ricompensa, si attiva quando si compiono azioni altruistiche, suggerendo che fare del bene agli altri possa generare una gratificazione intrinseca.
  • Giunzione temporo-parietale (TPJ): associata alla capacità di comprendere le intenzioni e gli stati mentali altrui.

Uno studio di Moll et al. (2006) ha dimostrato che quando le persone compiono atti altruistici, si attivano le stesse aree cerebrali che si attivano nel piacere derivante dal cibo o dal denaro, suggerendo che l’altruismo possa essere profondamente radicato nei meccanismi di ricompensa del cervello.

Possono esserci anche fattori psicologici che spingono all’altruismo?

Si. L’altruismo può essere influenzato da diversi fattori psicologici:

  • Empatia: secondo la teoria dell’empatia-altruismo di Batson (1991), le persone sono più inclini ad aiutare quando provano empatia per chi si trova in difficoltà.
  • Emozioni positive: esperienze di benessere possono aumentare la propensione ad aiutare gli altri (effetto “feel good, do good”).

Ci sono fattori sociali che spingono verso l’altruismo?

Si, ad esempio:

  • Norme sociali: il senso di responsabilità collettiva e l’educazione influenzano il livello di altruismo.
  • Situazioni di emergenza: il cosiddetto “effetto spettatore” (Darley & Latané, 1968) mostra che la probabilità di aiuto diminuisce se sono presenti molti osservatori, a causa della diffusione della responsabilità.
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Ci sono situazioni in cui l’altruismo può rivelarsi controproducente?

Si. L’altruismo in alcuni casi può diventare inopportuno: quando, ad esempio, alcune azioni, fatte con il cuore, finiscono per causare a chi le riceve, più danni che benefici. Ecco perché un altruismo efficace deve sempre partire dalla testa e non (solo) dal cuore.

In genere tendiamo a sottovalutare o a sopravvalutare il nostro altruismo?

Tendiamo sicuramente a sopravvalutare il nostro altruismo mentre per stimare l’altruismo degli altri sembriamo tutti più affidabili, come dimostrano numerose ricerche di psicologia sociale.

L’altruismo può essere limitato dai pregiudizi?

Secondo Eva Fogelman, esperta di problemi psicologici derivanti dall’Olocausto, sulle vittime dirette e sui loro discendenti, anche quando è diffuso uno stereotipo negativo su una certa categoria di persone, vi sono comunque degli individui che non si lasciano trasportare dai pregiudizi, ma che si attivano per dare a queste categorie svantaggiate tutta la loro solidarietà, in gesti di vero e proprio altruismo.

Dice la psicoterapeuta: ” Anche nei Paesi dove era presente un alto livello di antisemitismo prima della guerra, come la Polonia e l’Ucraina , dove gli ebrei erano già visti come ‘ gli altri ‘ e per questo perseguitati, c’erano comunque persone che hanno continuato a vedere gli ebrei come esseri umani esattamente come loro, e pertanto degni di vivere”.

Dai suoi studi sull’Olocausto quali conclusioni ha tratto la Fogelman a proposito dell’altruismo e dell’egoismo?

In primo luogo, dice la Fogelman, l’altruismo sembra essere un insieme di comportamenti innati e appresi, il che significa che i genitori possono avere un enorme influenza sull’altruismo dei propri figli. Le persone che si sono date più da fare in quel periodo sono state coloro che avevano ricevuto in famiglia l’insegnamento che tutte le persone sono uguali e create da un unico Dio. Questo presupposto ha migliorato la loro capacità di resistere alle influenze della propaganda nazista, che mostrava gli ebrei come sporchi, diffusori di malattie e come coloro che stavano mandando in rovina l’economia tedesca ed europea.

Ipnosi. Dr. Walter La Gatta
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Cosa possono fare i genitori per infondere un senso di altruismo nei figli?

Ci sono molte cose che i genitori possono fare con i figli, per infondere loro un senso di altruismo già in tenera età: non solo nei discorsi, ma anche nell’insegnamento, nell’esempio. Non è dunque un bene insegnare solo l’obbedienza, ma anzi è giusto insegnare loro che a volte potrebbe essere utile imparare a mettere in discussione l’autorità.

Dr. Walter La Gatta
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