Una particolare timidezza – Consulenza online

Una particolare timidezza – Consulenza online
Mi chiamo Giacomo, ed ho ventisette anni. Una particolare timidezza mi ha accompagnato sin da quando ero bambino: una timidezza che, però, non si manifesta in ogni aspetto della mia vita, ma mi assilla unicamente quando mi trovo ad avere a che fare con altre persone in contesti in cui non si dovrebbe essere troppo formali. In effetti, quando si tratta di discutere con sconosciuti o con persone alle quali ci si deve rivolgere con distacco e rispetto, non incontro alcuna difficoltà: ho anzi particolare successo nelle mie attività professionali, e non ho timore di fare proposte e prendere iniziative anche insolite. Sono inoltre perfettamente a mio agio nel parlare, anche per lungo tempo, di fronte a pubblici di ogni tipo e di ogni età, e non vi è stata sinora alcuna occasione in cui un mio intervento non sia stato accolto con grande entusiasmo, anche in ambienti di alto livello culturale.
Al contrario, negli incontri tra miei pari sono una totale frana. In effetti, credo di essere un poco “migliorato” a partire dai diciott’anni: ricordo che, infatti, prima di quell’età non avevo nemmeno una precisa coscienza del mio problema di timidezza. Ritenevo anzi che fossero tutti gli altri ad essere anormali. Questo è un tipo di convinzione che, devo dire, è stata alimentata anche dalla mia famiglia: che non ha mai fatto nulla per farmi vincere la mia timidezza, ma che anzi ha contribuito a farla crescere, incentivando la mia tendenza a starmene da solo e sostenendo l’idea per cui il mondo è fatto sostanzialmente da persone di poco valore, che nella maggior parte dei casi è meglio tenere a distanza. Non sono stato mandato all’asilo (ma ho imparato a leggere e scrivere precocissimamente), e ho avuto i primi contatti con coetanei estranei al mio nucleo familiare solo quando ho iniziato la scuola dell’obbligo.
Una volta raggiunta la consapevolezza del mio problema, sono riuscito gradualmente a contrastare la mia tendenza all’isolamento, stringendo poco a poco qualche rara amicizia sincera. Questi miei amici sanno che sono “bizzarro”, specialmente per via della mia naturale tendenza a parlare in maniera appassionata di argomenti “culturali” anche in situazioni di disimpegno e divertimento, ma mi hanno accettato per quello che sono. Mi sento pieno di gratitudine verso di loro. Sanno che non mi attirano i divertimenti più diffusi: non fumo, non bevo, non ballo, non amo la musica “leggera” e non mi piace fare le ore piccole, come si dice. Eppure non disprezzo affatto coloro a cui piacciono questi svaghi, ma anzi ho imparato col tempo ad unirmi a queste persone, pur rimanendo magari un poco in disparte se si capita in locali e feste. Mi rattristano un poco quelle serate, in cui in genere finisco per sentirmi prostrato e frustrato perché impossibilitato ad andarmene ed impossibilitato a comunicare il mio disagio, nel timore di sembrare maleducato: ma tengo sempre duro, sperando che si tratti di esperienze che potranno essermi utili a migliorare il mio carattere.
Purtroppo, il lavoro che ho cercato di compiere per vincere la mia timidezza ancora non ha avuto esito in un ambito: quello sentimentale, com’è facile immaginare. Non ho mai avuto una ragazza, pur avendo avuto più di una volta esperienza dell’innamoramento. La prima volta fu a dodici anni, ricordo. La mia inconcludenza imbranata mi ha tuttavia portato, nei casi migliori, ad instaurare semplici relazioni di amicizia e stima. Nei casi peggiori, invece, ho ricevuto mera indifferenza: non ho mai avuto un netto rifiuto, semplicemente perché non ho mai avuto il coraggio di fare vere proposte. Penso che anche quest’assenza di rifiuti abbia inciso sulla mia timidezza sentimentale: se una ragazza mi rifiutasse, almeno saprei di essere stato preso in considerazione come possibile corteggiatore. Invece, a causa del mio atteggiamento, non sono nemmeno degno di una diffida: sono semplicemente innocuo. Del resto, il mio aspetto fisico non aiuta, da questo punto di vista: non sono forse drasticamente brutto, ma ho una quantità di difetti che certamente non mi permettono di competere con molti altri miei pari.
Ciò che mi blocca più di ogni altra cosa, quando vorrei corteggiare una ragazza, è il terrore di essere frainteso nelle mie intenzioni e di essere dunque considerato una specie di “maniaco”. Anche qui, mi domando se la mia famiglia non abbia influito: nel periodo della mia infanzia ed adolescenza, ogni interesse verso l’altro sesso costituiva una sorta di reato morale. Tendevo a sentirmi sempre in colpa. Ricordo come, alle scuole medie, ostentassi disprezzo e persino rabbia nei confronti di ogni minima manifestazione d’affetto da parte delle mie coetanee. Avevo paura che i miei genitori lo venissero a sapere. Oggi mi pento amaramente di quel mio atteggiamento, che purtroppo a quei tempi mi dava sicurezza e conforto.
Ho ancora paura, temo. Quando una ragazza mi piace, riesco ad avvicinarla solo se entrambi facciamo parte di uno stesso contesto (ad esempio, se siamo colleghi, oppure siamo seduti allo stesso tavolo e abbiamo amici comuni, ecc.). Solo così mi sento “in diritto” di intraprendere una conversazione: non ho mai “fermato” una ragazza per strada, o simili. A dir la verità una volta, nel tentativo disperato di curare da solo la mia timidezza, ho chiesto il numero di cellulare ad una ragazza che mi aveva per puro caso rivolto la parola in treno, e con cui avevo intrapreso una conversazione. Ancora oggi, mentre scrivo, mi si gela letteralmente il sangue nelle vene se ripenso al suo sguardo smarrito dopo la mia richiesta. Ma poi, il numero me lo diede, e io le diedi il mio! Eppure io, sceso dal treno, non l’ho mai usato, travolto dalla vergogna per ciò che avevo fatto. Lo conservo ancora: saranno passati più di tre anni da quell’episodio. Lei non mi ha mai chiamato, naturalmente.
Ritornando al presente, mi ritengo fortunato, e persino vagamente felice, se una ragazza che mi attrae sceglie infine di parlarmi. Non riesco mai, tuttavia, a superare la fase del dialogo: da cui, nei casi migliori -come dicevo-, nascono tutt’al più belle amicizie. Cerco da una vita di capire cosa “si fa” per procedere oltre senza sembrare offensivi. Mi risulta incomprensibile la sicurezza che hanno altri ragazzi nel mettere improvvisamente una mano attorno alla spalla di una ragazza appena conosciuta, o nell’abbracciarla al momento di salutarsi. Forse loro possono perché, in genere, di aspetto fisico migliore del mio. In effetti, tra le mie paure c’è anche quella del disappunto che una ragazza potrebbe provare nello scoprirsi oggetto dell’attenzione di una persona come me. Comunque, mi dà le vertigini la mia sensazione d’ignoranza: non so, letteralmente, cosa fare per non sembrare fuori luogo e riprovevole. Credevo che avrei imparato dai miei ripetuti fallimenti, ma ogni nuova situazione si presenta completamente diversa. In rare occasioni, ho invitato le ragazze con cui riuscivo ad arrivare alla fase del dialogo a venire assieme me in qualche luogo (cinema, teatro, ecc.). Non ho mai avuto una risposta realmente affermativa. E nemmeno negativa! Con una regolarità impressionante, tutte le ragazze da me invitate (quattro, ad oggi) hanno innanzitutto accettato con poca convinzione. Arrivato il giorno dell’appuntamento, mi hanno dunque chiamato o contattato in altro modo per farmi sapere che erano molto dispiaciute, ma avevano il raffreddore, oppure avevano un problema di lavoro, eccetera. Impressionante, ripeto.
In famiglia, ancora oggi, il fatto che io non abbia ancora avuto una ragazza è considerato assolutamente normale. Non mi capacito di come ciò, per una madre ed un padre, possa essere accettabile e non destare preoccupazioni.
Con gli amici, non ho mai intavolato discorsi che riguardino i miei problemi sentimentali. Anche lì, la vergogna vince su ogni necessità. Solo recentemente ho iniziato, goffamente, ad esprimere qualche volta dei miei giudizi di apprezzamento su qualche ragazza (“è carina, sì”), quando in compagnia di amici. Questo perché ho scoperto, in maniera fortuita, che erano sorti dei vaghi dubbi su una mia possibile omosessualità. Se una voce del genere si spargesse, temo che ogni mia possibilità di trovare una compagna per la vita sparirebbe definitivamente.
Arrivato alla mia età, comincio a sentirmi “vecchio” e a temere di non poter più guarire da solo da questa persistente timidezza. Mi rivolgo dunque a voi, confortato dall’anonimato, nel tentativo di ricevere, perlomeno, qualche utile consiglio, e per capire se la mia situazione è da considerarsi patologica, e dunque necessitante di qualche cura che vada oltre i miei sforzi di volontà.
Mi scuso per la lunghezza del messaggio, e ringrazio in ogni caso per l’attenzione.
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A25
Grazie della bella lettera, dalla quale si comprende chiaramente che il suo principale problema consiste in una eccessiva concentrazione su se stesso: la sua auto-analisi le permette infatti di affinare la comprensione dei suoi vissuti e delle sue reazioni, ma non l’aiuta certamente a recuperare spontaneità e leggerezza.
E’ vero, alcuni atteggiamenti, alcuni gesti, si acquisiscono nell’infanzia e, se lei se ne sente incapace, probabilmente la causa potrebbe essere ricercata in modelli educativi non particolarmente validi. Tuttavia, se questa fosse la causa remota delle sue insicurezze, limitarsi ad attribuire le sue inibizioni di oggi ai suoi genitori e al loro stile educativo non rappresenta certo una soluzione per le sue difficoltà.
Credo che la via maestra per sciogliersi nei rapporti sociali non possa che essere l’esposizione graduale a determinate situazioni ansiogene. Ha sbagliato dunque a chiedere il numero alla ragazza del treno e poi a non farlo più con altre…
Anche senza bisogno di richiamarle, solo per esercitarsi a farlo, lei dovrebbe proporsi di chiedere il numero di telefono ad almeno tre ragazze alla settimana, magari del tutto sconosciute o poco interessanti per lei, visto che in questa prima fase non sarà necessario chiamarle davvero. Quando riuscirà a chiedere il numero di telefono con disinvoltura, avvii la fase due, che è quella in cui lei deve anche richiamare… Anche qui, all’inizio sarà dura, ma poi andrà sempre meglio.
Come obiettivo, nei primi tentativi di approccio, non si ponga mai la creazione di un vero legame sentimentale con la ragazza che inviterà, ma solo quello dell’amicizia (scegliere ragazze che non la interessano sessualmente potrà aiutarla).
Riservi dunque le attenzioni per le ragazze veramente interessanti per lei solo ad un periodo successivo, quando sarà più esperto ed equipaggiato per “l’impresa”, tanto da riuscire a spostare l’attenzione da lei all’altra persona, per accorgersi che in genere le ragazze (non tutte, certamente!) apprezzano moltissimo i ragazzi come lei: così profondi, colti e sensibili. Dia valore a questi suoi punti di forza e ci metta anche un po’ di metodo e di coraggio. Auguri.
Dr. Walter La Gatta
Walter La Gatta
psicologo psicoterapeuta sessuologo
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Dr. Walter La Gatta, psicoterapeuta sessuologo.
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