Bertrand Russel: la conquista della felicità (1)

Bertrand Russel: la conquista della felicità (1)

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Bertrand Russell (1872-1970)  era un aristocratico gallese, notissimo per aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura, ma anche famosissimo filosofo, logico e matematico. Fu un autorevole esponente del movimento pacifista e un divulgatore della filosofia. A lui ed al suo impegno per il rispetto dei diritti umani è stato intitolato il Tribunale Russel. Potete leggere il resto della sua interessante biografia qui, ma oggi ne parliamo perché Russel è anche l’autore del libro “La conquista della felicità”, scritto nel 1930, subito dopo il successo editoriale del controverso “Matrimonio e Morale“.

In questo saggio Russel parla con linguaggio divulgativo ed è facilmente comprensibile anche dai più digiuni di filosofia. Ve ne offriamo una sintesi, attraverso la citazione dei passaggi che, a nostro avviso, sono più significativi per comprendere il pensiero di Russel, ma sono anche adatti alla riflessione psicologica.

Bertrand Russel

CAUSE DELL’INFELICITA’

*) Che cosa ci rende infelici.

– Ho scritto anni addietro sui cambiamenti necessari nel sistema sociale per favorire la felicità. Sull’abolizione della guerra, lo sfruttamento economico, l’educazione alla crudeltà e alla paura, non ho intenzione di riparlarne nel presente volume. (…)

– E’ necessario impedire il perpetuarsi della povertà, se si vuole che i benefici della produzione meccanica aumentino, in misura più o meno grande, per coloro che maggiormente ne necessitano; ma a che serve rendere ricchi tutti, se il ricco stesso è infelice?

– La disciplina esteriore è la sola via che conduca alla felicità per quegli infelici, troppo dediti all’introspezione per poter essere curati in altro modo.

Il potere, se mantenuto entro i suoi propri limiti, può accrescere grandemente la felicità, ma quale unico scopo della vita non conduce che alla catastrofe, interiormente, se non esteriormente.


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*) Infelicità Byroniana

L’uomo che ottiene facilmente le cose per le quali non prova che un desiderio molto moderato, finisce col concludere che la soddisfazione del desiderio non dà la felicità. Se ha una disposizione mentale filosofica, ne deduce che la vita umana è essenzialmente disgraziata, poiché anche l’uomo che ha tutto quello che vuole è infelice. Egli dimentica che essere privi di qualcuna delle cose che desideriamo è una condizione indispensabile della felicità.

L’amore deve essere apprezzato poiché dà maggior rilievo a tutti i piaceri migliori, quali la musica, un’alba in montagna, il mare sotto il plenilunio. (…) Inoltre, l’amore è in grado di spezzare il duro nocciolo del proprio io, poiché è una specie di collaborazione biologica, nella quale le emozioni dell’uno sono necessarie alla soddisfazione degli istintivi propositi dell’altro. (…) L’amore è la prima e più comune forma di emozione che conduca alla collaborazione e coloro che hanno provato più o meno intensamente l’amore non potranno accettare una filosofia che presuppone, indipendentemente da quello della persona amata, il loro massimo bene.

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*) Competizione

Ciò che la gente intende per lotta per la vita, è in realtà la lotta per il successo. Ciò che la gente teme, quando si impegna nella lotta, non è di non poter mangiare il giorno dopo, ma di non riuscire a farsi invidiare dai propri vicini.

– (…) Sebbene il denaro in sé non basti a rendere grande una persona, è difficile essere grandi senza denaro. Per di più, l’aver fatto denaro sta a dimostrare, per comune riconoscimento, che si ha del cervello.

*) Noia ed eccitamento

Il contrario della noia, in una parola, non è il piacere, ma l’eccitamento. (…)

– Non posso dire che le droghe siano nella vita esclusivamente nocive. Vi sono momenti in cui, ad esempio,  un onesto medico prescrive un oppiaceo, e credo che questi momenti siano più frequenti di quanto non lo suppongano i proibizionisti. Ma lo smodato desiderio delle droghe è certamente cosa che non può essere abbandonata all’azione incontrollata dell’impulso naturale. E la specie di noia cui è soggetta la persona avvezza alle droghe, quando ne viene privata, è una noia per la quale non so suggerire altro rimedio fuorché il tempo.

– Una persona avvezza ad eccessivo eccitamento è come una persona che ha una passione morbosa per il pepe, e che finisce per non trovare più gusto nemmeno in una quantità di pepe tale che toglierebbe il respiro a chiunque altro. (…) L’eccessiva eccitazione non solo mina la salute, ma rende il palato insensibile ad ogni specie di piacere, sostituendo i titillamenti alle profonde soiddisfazioni organiche, l’abilità alla saggezza, e violente sorprese alla bellezza.

Una certa capacità di sopportare la noia è quindi indispensabile per avere una vita felice, ed è una delle cose che si dovrebbero insegnare ai giovani. Tutti i grandi libri hanno dei capitoli noiosi, e tutte le grandi vita hanno avuto dei periodi non interessanti.

– I viaggi troppo frequenti, un’eccessiva varietà di impressioni, non fanno bene ai bambini, e fanno si che crescendo essi diventino incapaci di sopportare una fruttuosa monotonia.

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 *) Fatica

La specie di fatica più nociva, al giorno d’oggi, nelle comunità progredite, è la fatica nervosa. Questa specie di fatica è, abbastanza stranamente, più pronunciata tra gli abbienti, e tende ad essere molto minore tra chi lavora di braccia che non tra gli uomini d’affari e gli intellettuali.

Moltissime preoccupazioni possono diventare meno assillanti quando ci si rende conto della poca importanza di ciò che ci causa quell’ansietà. Ai miei tempi, ho parlato in pubblico numerosissime volte; sulle prime, il pubblico mi terrificava sempre e il nervosismo mi rendeva incapace di parlare con scioltezza; temevo a tal punto quella prova, che speravo sempre di spezzarmi una gamba prima dell’ora della conferenza, e quando avevo finito ero esausto per la tensione nervosa. Pian piano riuscii a convincere me stesso che non aveva importanza ch’io parlassi bene o male, il mondo avrebbe in ogni caso continuato a girare allo stesso modo. E scopersi che meno mi preoccupavo di come parlavo meglio parlavo, e gradatamente la tensione nervosa diminuì, fino a scomparire completamente. In questo stesso modo può essere in gran parte curata la stanchezza nervosa.

Quando qualche disgrazia ci minaccia,consideriamo seriamente e deliberatamente cos’è il peggio che ci possa capitare. Dopo aver guardato in viso la possibile disgrazia, procuriamoci delle solide ragioni per pensare che, dopo tutto, non sarebbe poi una cosa tanto grave.

 

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*) Invidia

Dopo l’ansietà, una delle più forti cause di infelicità è probabilmente l’invidia. (…) Di tutte le caratteristiche della normale natura umana l’invidia è la più deprecabile; non soltanto la persona invidiosa desidera fare del male e mette in atto il suo desiderio, se può farlo impunemente, ma l’invidia rende infelice anche lei.

Vi sono delle felicità alle quali ognuno ha diritto, e quando un bambino ne viene privato ne consegue quasi inevitabilmente l’inasprimento del carattere, quand’anche non più gravi storture.

L’invidia, in effetti, è una delle forme di quel vizio, in parte morale, in parte intellettuale, che consiste nel non vedere mai le cose in sé stesse, ma soltanto in rapporto ad altre.

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Se desiderate la gloria, potete invidiare Napoleone. Ma Napoleone invidiava Cesare, Cesare invidiava  Alessandro e Alessandro, oso dire, invidiava Ercole, che non è mai esistito.

Ci si può liberare dall’invidia gustando le gioie che si trovano sul proprio cammino, svolgendo il lavoro che si deve svolgere, ed evitando di fare confronti con coloro che reputiamo, forse erroneamente, molto più fortunati di noi.

Ai vecchi tempi la gente invidiava soltanto i propri vicini, perché poco o nulla sapeva degli altri. Ora, attraverso l’istruzione e la stampa, sa molte cose, in modo astratto, su varie classi dell’umanità, tra le quali però nonvi è nemmeno un individuo di sua diretta conoscenza. Attraverso il cinematografo crede di sapere come vivono i ricchi, dai giornali sente parlare della prepotenza delle nazioni straniere, e la propaganda l’informa delle nefande usanze di tutti coloro che hanno la pelle con una pigmentazione diversa. I gialli odiano i bianchi, i bianchi odiano ineri, e così via. Tutto quest’odio è, se così si può dire, alimentato dalla propaganda, ma questa è una spiegazione piuttosto superficiale.Perché la propaganda è tanto più efficace quando incita all’odio, di quando tenta di incitare a sentimentid’amicizia? La ragione sta evidentemente nel fatto che il cuore umano, quale la civiltà moderna lo ha fatto, è più propenso all’odio che all’amicizia. Ed è propenso all’odio perché è insoddisfatto, perché nel profondo sente, forse anche inconsciamente, di aver perduto il senso della vita; sente che forse altri, ma non noi, si sono assicurati le belle cose che la natura offre per la gioia dell’uomo. La somma positiva dei piaceri nella vita di un uomo moderno è indubbiamente superiore a quella che si poteva avere in comunità più primitive, ma ancor più di tale somma è aumentata la consapevolezza di ciò che potrebbe essere.

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*) Senso della colpa

Il senso della colpa, lungi dal condurre verso una vita buona, ha l’effetto opposto. Rend eun uomo infelice e fa sì che egli si senta inferiore agli altri. Essendo infelice, è probabile che egli accampi sugli altri diritti eccessivi e che gli impediscono di gustare la felicità nei rapporti personali. Sentendosi inferiore, nutrirà del rancore verso coloro che gli appaiono superiori. Per lui l’ammirazione sarà difficile, e facile l’invidia. Diventerà una persona generalmente antipatica e si troverà sempre più solo. Un atteggiamento generoso ed espansivo verso gli altri non soltanto fa contenti gli altri, ma è un’immensa fonte di felicità per chi lo possiede, perché lo rende simpatico a tutti. Ma in un uomo assillato dal senso di colpa un simile atteggiamento non è possibile, poiché è un prodotto dell’equilibrio e della fiducia in sé stessi e richiede ciò che può chiamarsi un’integrazione mentale; richiede cioè che i diversi strati della natura umana, cosciente, subcosciente e incosciente, lavorino armonicamente insieme e non siano continuamente in contrasto fra di loro.

Nessuno deve temere che, diventando razionale, la sua vita si scolorisca. Anzi, poiché il razionalismo consiste principalmente nell’armonia interiore, l’uomo che arriva a possederlo è più libero, nella contemplazione del mondo e nell’uso delle sue energie, di raggiungere un fine esteriore, che non l’uomo continuamente in preda a conflitti interiori. Nulla è così arido come l’essere chiusi in sé stessi, nulla così serenamente fertile come l’essere rivolti con l’attenzione e l’energia verso l’esterno.

La felicità veramente soddisfacente si accompagna al pieno esercizio delle nostre facoltà e alla completa comprensione del mondo nel quale viviamo.

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*) Mania di persecuzione

Ci aspettiamo sempre che gli altri abbiano per noi quel tenero amore e quel profondo rispetto che noi nutriamo per noi stessi. Non ci passa per la mente che non possiamo aspettarci dagli altri che pensino di noi più bene di quanto noi pensiamo di loro, e la ragione per cui questo non ci passa per la mente è che i nostri meriti ci appaiono grandi ed evidenti, mentre quelli degli altri, ammesso pure che esistano, sono visibili soltanto ad un occhio molto caritatevole.

Ricordate che i motivi che determinano le vostre azioni non sono sempre così altruistici come vi appaiono. (…) Non sopravvalutate i vostri meriti (…) Non aspettatevi che gli altri si interessino di voi quanto voi stesso (…) Non immaginatevi che la gente si interessi tanto a voi da nutrire un particolare desiderio di perseguitarvi.

Tutto quello che si deve fare può essere fatto bene soltanto con l’aiuto di un certo entusiasmo, e provare entusiasmo per qualche cosa è difficile se non vi è un motivo egoistico.

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*) Paura dell’opinione pubblica

Per ignoranza del mondo, si sopporta molta inutile infelicità, talvolta solamente in gioventù, ma non infrequentemente per tutta la vita. Questo isolamento non soltanto è fonte di dolore, ma causa anche un grande sperpero di energie nel compito non necessario di mantenere la propria indipendenza mentale in un ambiente ostile, e in novantanove casi su cento produce una certa timidezza nel seguire fino alla loro logica conclusione le proprie idee.

Bisogna trovare il modo mediante il quale eludere l’opinione pubblica o diminuirne l’importanza, e mediante il quale i membri della minoranza intelligente possano giungere a conoscersi e a gustare la loro reciproca compagnia.

I giovani che si trovano in contrasto con il loro ambiente dovrebbero tentare, nella scelta della professione, di scegliere una carriera che offra loro la possibilità di vivere tra persone affini, anche se questo dovesse costare la rinuncia a guadagni superiori.

Di regola, si dovrebbe rispettare l’opinione pubblica quel tanto che è necessario per evitare di morire di fame e di andare in prigione, ma tutto quanto vada al di là di questo diventa volontaria sottomissione ad una tirannia non necessaria e arrischia nei più vari modi di compromettere la felicità.

La felicità è favorita dalla riunione di persone di gusti e opinioni simili.

A cura di:
Dr. Giuliana Proietti

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Tratto da:
Bertrand Russel, La conquista della felicità, Tea

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