2007 Convegno Dal disagio alle dipendenze 24 Novembre 2007
RINGRAZIAMENTO PUBBLICO
Sabato si è svolto ad Ancona il Convegno Dal Disagio alle Dipendenze.
Anche attraverso questo Blog cogliamo l’occasione per ringraziare, sinteticamente ma sentitamente, tutte le Istituzioni che hanno rilasciato il Patrocinio ed i finanziamenti, i Rappresentanti delle Autorità locali che, con sensibilità ed interesse, hanno non solo introdotto i lavori, ma presenziato alle varie relazioni, gli Sponsor, i chiarissimi Relatori, l’attento e intelligente Pubblico e l’efficiente Staff di Segreteria.
Gli atti del Convegno verranno pubblicati qui, nel Blog ed anche nel Sito della Clinica della Timidezza.
Il prossimo appuntamento è fissato per il 2008, con un nuovo argomento, ancora non del tutto definito, ma che sembra già molto interessante… Alla prossima!
p.s. Grazie anche a voi lettori del Blog, che in questi ultimi tempi avete sentito parlare solo di disagio e dipendenze, ma non per questo ci avete abbandonato! Da oggi si torna alle vecchie abitudini!
A21
RELAZIONI:
– Dipendenza da sesso e desiderio sessuale
di Franco Avenia
Il primo cui si può attribuire una descrizione scientifica della Dipendenza da Sesso (DdS) è Krafft-Ebing (1886), che ne sottolineava con grande acutezza il tratto essenziale: la centralità del desiderio sessuale nella vita del soggetto dipendente. Sono poi passati cento anni prima che si tornasse con Cleman (1886), Carnes (1991) a rioccuparsi scientificamente di tale problematica.
La severità delle conseguenze personali e sociali della Sexual Addiction, emerse negli USA negli anni ‘80, hanno promosso la costituzione del National Council of Sexual Addiction (NCSA) che, nel 1987, ne ha dato la prima moderna definizione quale: “Persistente e crescente modalità di comportamento sessuale, messo in atto nonostante il manifestarsi di conseguenze negative per sé e per gli altri”.
Molte altre sono poi state le definizioni della Sexual Addiction proposte da diversi Autori, a seconda del punto d’osservazione, delle teorie di riferimento e dalle interpretazioni etiopatogenetiche.
Dopo lunghe e meditate riflessioni, sono giunto a proporre una nuova definizione che, a differenza di quella del NCSA incentrata su manifestazioni esteriori e di altre orientate da supposte eziopatogenesi, descrive fenomenologicamente la “condizione” del soggetto dipendente da sesso:
“La Sexual Addiction è la condizione psico-fisico-esistenziale nella quale un individuo percepisce la propria sessualità centrale rispetto alla sua vita ed agisce in risposta ad un irrefrenabile impulso sessuale, indipendentemente dagli effetti negativi che il suo comportamento può arrecare a sé ed agli altri, poiché la soddisfazione del bisogno che genera l’impulso gli procura piacere ed, al contempo, ricava forte disagio, ansia e mal-essere dalla sua mancata soddisfazione” (Avenia, 2005).
Da quanto appena detto, emerge chiaramente che non esiste concordia scientifica sulle cause che possano generare la Sexual Addiction ed, ovviamente, sugli interventi terapeutici. Il lavoro svolto pertanto in questi anni da me e dall’Associazione Italiana per la Ricerca in Sessuologia, culminato con la pubblicazione del Manuale sulla Sexual Addiction (FrancoAngeli, 2007) , ha avuto lo scopo prioritario di una messa a fuoco del problema, stimolando il confronto tra i diversi studiosi del fenomeno, per creare chiare ed univoche basi di approfondimento e ricerca.D’altronde, la Sexual Addiction merita grande attenzione in quanto non solo produce gravissime conseguenze nei soggetti dipendenti e nelle persone che a loro più prossime, ma riveste un alto indice di pericolosità sociale.
Conseguenze individuali e pericolosità sociale della Sexual Addiction
A livello individuale il 58% dei dipendenti da sesso ha subito gravi conseguenze finanziarie (Carnes, 1991) ed il 40% si sono separati dalla fidanzata o dalla moglie (Carnes, 1991).
A livello sociale le conseguenze sono ancora più gravi: il 55% dei soggetti con reati a sfondo sessuale sono dipendenti da sesso (Herkov, 2001); il 58% dei dipendenti da sesso dichiara che il proprio comportamento potrebbe portare all’arresto (Carnes, 1991); il 19% dei dipendenti da sesso sono stati arrestati almeno una volta (Carnes, 1991):
Va notato poi che, in una ricerca svolta dall’AIRS e dalla FEDERSERD, nel carcere di Opera, a Milano, (Pistuddi, Avenia, Lucchini, 2004, pubblicata sul Manuale sulla Sexual Addiction, FrancoAngeli, 2007) su un campione di 60 tossicodipendenti, detenuti per gravi reati, la percentuale di dipendenza da sesso è doppia rispetto al campione nazionale (12% vs 6%). Tali dati, ovviamente, non sono direttamente correlabili con i precedenti, ma evidenziano una forte contiguità tra comportamenti delinquenziali e dipendenza da sesso, anche in considerazione della nota comorbilità tra dipendenze.
Cause che possono rendere il dipendente da sesso incline a delinquere
In sintesi, possiamo considerare che il dipendente da sesso è sicuramente un soggetto facilmente incline a delinquere per una serie di motivi:
La storia personale. In base a studi effettuati negli USA, l’80% dei dipendenti da sesso proviene da famiglie disfunzionali dove almeno uno dei membri è già dipendente (droga, gioco d’azzardo, ecc.). In più, secondo letteratura, alcuni soggetti dipendenti da sesso, in percentuale maggiore rispetto alla media della popolazione, hanno subito abusi sessuali nell’infanzia o nell’adolescenza. Ciò c’induce facilmente a considerare che l’humus socio-culturale dei dipendenti da sesso sia di per sé disadattivo, inducendo verso comportamenti asociali e delinquenziali.
L’inclinazione alla trasgressione. Il dipendente da sesso, da qualsivoglia prospettiva possa essere inquadrato, mostra una disregolazione istintuale e comportamentale. Ciò lo rende incline alla trasgressione e, dunque, ad infrangere norme sociali e leggi.
Le conseguenze. Le note gravi conseguenze familiari, sociali ed economiche che la dipendenza da sesso produce, lasciano emergere due aspetti: il primo, di natura psico-individuale, che consiste nell’impostare una vita fuori dagli schemi socioculturali di cui non si ha più interesse al rispetto; il secondo, di carattere di pratico, che si sostanzia nella spinta a sopravvivere, nonostante le gravi conseguenze del proprio comportamento, costringendo spesso a soluzioni estreme che portano a delinquere.
L’essenza della dipendenza. La dipendenza da sesso ha nell’attività sessuale la sua sostanza. Tale attività spesso non si soddisfa solitariamente, ma necessita del concorso di una o più persone e, laddove non vi sia il consenso di queste, lo si ottiene con la violenza. Ciò spiega, perché il 55% dei dipendenti da sesso compie reati a sfondo sessuale.
La comorbilità. Le dipendenze più frequentemente correlate alla Sexual Addiction sono quella da rischio e da droga: in entrambi i casi è evidente il collegamento con comportamenti delittuosi.
Elementi distintivi della dipendenza da sesso (il seguente paragrafo è tratto dal Manuale sulla Sexual Addiction, a cura di F. Avenia e A. Pistuddi, FrancoAngeli, Milano, 2007).
1 – La prima e più evidente caratteristica della Dipendenza da Sesso (DdS) è rappresentata, indubitabilmente, dalla centralità del sesso nella vita del soggetto. Si noti, infatti, che i sexual addicts orientano e regolano la loro vita in base alla possibilità di soddisfare i desideri sessuali. Le loro scelte – con ricaduta di effetti a breve, ma anche a medio o lungo termine – sono indirizzate a metterli il più possibile in condizione di attuare i comportamenti sessuali che bramano e che sanno di non poter in alcun modo controllare. Centralità, in altre parole, vuol dire il ruolo egemone della sessualità nella vita del soggetto, che attribuisce alla soddisfazione dei suoi desideri sessuali una posizione dominante, cui ogni altra esigenza dovrebbe piegarsi. Si crea così una nuova struttura di significati ed un’anomala scala di priorità all’interno delle quali ogni azione trova motivazione e giustificazione, rispecchiandosi in un’insana quanto funzionale coerenza: un progetto di vita essenzialmente distorto, ma capace di sostenere ed orientare il soggetto nelle sue scelte (Avenia, 2000, 2004).
2 – Con pervasività s’intende l’inarrestabile spinta dei comportamenti sessuali ad insinuarsi in ogni ambito della vita del soggetto dipendente, poiché la sessualità non solo è dominante a livello mentale (centralità), ma lo diviene anche nel pratico, diffondendosi capillarmente in gran parte delle azioni quotidiane.
3 – Il rapporto con le conseguenze, così come la due precedenti caratteristiche, può essere colto nel suo duplice aspetto: soggettivo ed oggettivo. Se da un lato, infatti, notiamo un rapporto distorto con le conseguenze, ovvero una loro sottostima o il non curarsene, dall’altro si evidenziano effetti deleteri sulla vita del soggetto e/o di altre persone. Può capitare però che – in genere nei primi tempi della dipendenza – non vi siano conseguenze negative né per il sexual addict né per altri, perché i comportamenti non sono troppo spinti o perché vi è ancora una loro gestione accorta. Ciò non toglie che il rapporto con le conseguenze sia elemento individuativo di DdS. Il soggetto dipendente da sesso, nel suo distorto progetto di vita, indirizza le scelte in base ad un’alterata scala di priorità e valori e, poiché pone al centro la soddisfazione dei suoi impulsi sessuali, inevitabilmente si trova a produrre conseguenze dannose per sé e/o per altri. Sottovalutare od ignorare l’importanza di tali conseguenze rappresenta una delle due chiavi di lettura (aspetto soggettivo) in base a cui si caratterizza la DdS. L’aspetto oggettivo si sostanzia, invece, proprio nella produzione delle conseguenze.
Quando il dipendente da sesso non riesce a frenare i suoi comportamenti sessuali, nonostante le conseguenze dannose per sé e/o per gli altri, si evidenzia la quarta delle caratteristiche della DdS: l’impossibilità di astenersi nonostante le conseguenze. Tale condotta si ricollega direttamente con i sopra descritti percorsi mentali, rafforzandosi circolarmente. La sottostima delle conseguenze o il non preoccuparsene può arrivare alla loro negazione, in una percezione distorta della realtà e, allorché gli effetti deleteri dei comportamenti divengono talmente evidenti e d’impedimento ad una seppur minima sopravvivenza fisica o sociale, emerge in tutta la sua evidenza l’incapacità di gestire i propri impulsi. Tale incapacità, come accade nelle altre dipendenze, viene inizialmente negata, seguendo l’illusione di poter smettere in un qualsiasi momento, ma poi soggiace alla dimensione d’una incoercibile dipendenza.
4 – L’impossibilità di gestire l’impulso sessuale
Veniamo ora al controverso argomento della compulsività. Per alcuni Autori la dipendenza da sesso rientra nel quadro più generale dei disturbi ossessivo-compulsivi, mentre per altri è assimilabile ai disturbi del controllo degli impulsi.
(…)Abbiamo già accennato all’argomento in questione, ma poiché suscettibile di diverse interpretazioni, è necessario tornarci ed aggiungere alcune considerazioni.
Il fatto che nella DdS siano presenti pensieri ed impulsi che si presentano ossessivamente e comportamenti compulsivi non necessariamente ne fa un disturbo ossessivo-compulsivo. Le differenze si sostanziano nell’egodistonicità delle ossessioni e dei comportamenti compulsivi che, invece, sono entrambi egosintonici nella DdS. Lo stesso DSM IV-TR nelle caratteristiche diagnostiche definisce “egodistoniche” le ossessioni e chiarisce che “Le compulsioni sono comportamenti ripetitivi…[[…. il cui obiettivo è quello di prevenire e ridurre l’ansia o il disagio, e non quello di fornire piacere o gratificazione”(2000, p. 462).
Nelle Manifestazioni, più avanti, il DSM IV-TR evidenzia che “Frequentemente è presente l’evitamento delle situazioni che riguardano il contenuto delle ossessioni”(2004, p. 463). Caratteristica che non si ritrova affatto nella DdS dove, invece, vi è una ricerca continua di situazioni a carattere sessuale, capaci di stimolare il desiderio o fornire occasioni per comportamenti sessuali.
Le ossessioni, poi, sono nella sostanza amplificazioni di “preoccupazioni per i problemi della vita reale” o paure legate all’impossibilità di gestire i propri pensieri. Ed anche in ciò notiamo una totale estraneità alla dimensione della DdS.
Infine, il comportamento compulsivo è altro rispetto al contenuto delle ossessioni: “la persona tenta d’ignorare o di sopprimere tali pensieri, impulsi o immagini, o di neutralizzarli con altri pensieri o azioni (Criterio A, punto 3). Mentre nella DdS vi è totale congruità tra l’aspetto mentale ed i comportamenti.
In sostanza il Disturbo ossessivo-compulsivo si presenta come una aggressione mentale da cui ci si difende con la messa in atto di strategie rituali. Situazione assai differente dalla DdS dove l’istinto sessuale si propone con altissima intensità e frequenza e non si ha la capacità di resistere al suo soddisfacimento.
5-6 – Gli ultimi due elementi indicativi di dipendenza da sesso sono: la tolleranza e l’astinenza. Per quanto riguarda il primo va detto che deve riguardare due parametri: quello temporale, che valuta la crescente frequenza dei comportamenti dipendenti e quello oggettuale che prende in esame l’incremento degli stimoli necessari ad attivare il comportamento. Per quanto attiene all’astinenza, invece, la questione è anche quì controversa poiché, mentre alcuni Autori ne riconoscono la presenza e l’importanza nella DdS (Griffin-Shelley, 1991; Kafka, 2004; Lambiase, 2001; Del Miglio e Corbelli, 2003), altri tendono a sottovalutarla. Carnes, ad esempio, non la inserisce tra le dieci caratteristiche principali della DdS.
Probabilmente la disparità di opinioni in merito è data dalla variabile temporale, poiché il fenomeno si sviluppa sensibilmente solo su tempi lunghi, e dal fatto che anche in situazioni di normalità è possibile osservare – seppur lievi – sintomi d’astinenza come maggior irritabilità ed aggressività, insoddisfazione, malumore.
Ciò nonostante, pur non essendo facile evidenziarli, i sintomi di astinenza si configurano generalmente come elementi individuativi di DdS.
Riassumendo, la dipendenza da sesso è un fenomeno molto complesso ed articolato, non facile da individuare, almeno nelle fasi iniziali, e che può sfuggire ad una precisa collocazione, in quanto ancora non inquadrato con precisione. Al momento attuale, abbiamo però alcuni elementi individuativi che possono servire da base per costruire criteri diagnostici certi. Tali elementi sono: centralità; pervasività; rapporto con le conseguenze, impossibilità d’astenersi nonostante le conseguenze; impossibilità di controllare l’impulso; tolleranza ed astinenza.
Presenza della Sexual Addiction negli USA ed in Italia.
Vediamo ora quale è la percentuale stimata di presenza di Sexual Addiction nella popolazione.
• USA 1996: 11% (8% uomini – 3% donne – Carnes, 1991-1996)
• USA 2002: 15% (11% uomini – 4% donne – (Coleman, Kennedy,J. American Psychiatr. N. A. [2002],
• ITALIA 2004: 6% (5% uomini – 1% donne – Ricerca AIRS, Avenia-Pistuddi, 2004)
Coma si nota subito, vi è un dato altamente significativo che ricaviamo dalle rilevazioni eseguite negli USA: in sei anni si è passati dall’11% al 15%[1]. Tale preoccupante incremento, che ora coinvolge circa venti milioni di Americani, seppur in percentuale molto inferiore sembra confermarsi anche in Italia. Da una ricerca da me condotta sul “Desiderio sessuale degli Italiani” (AIRS, 2007), infatti, – come illustreremo più avanti – si osserva una presenza di Sexual Addiction in crescita dal 6% all’8%.
Ma iniziamo con la prima rilevazione di livello nazionale iniziata nel 2003 (Avenia, Pistuddi, 2003) e completata nel 2004, evidenziando solo i principali dati emersi (i dati completi della ricerca sono stati supplicati nel Manuale sulla Sexual Addiction, FrancoAngeli, 2007).
Il questionario utilizzato è stato il Sexual Addiction Inventory (SAI/2), Questionario per la rilevazione della dipendenza da sesso, di Franco Avenia.
I questionari somministrati sono stati 1465; quelli ritenuti validi 1014. Le Province interessate: Bari, Belluno, Milano, Pesaro-Urbino, Ravenna, Forlì, Roma, Cagliari, Udine, Venezia.
Come si è detto, la percentuale di Sexual Addiction rilevata nella popolazione italiana in età di voto è stata del 6%, cui andrebbe aggiunta – per stimarne la pericolosità sociale – la fascia dei soggetti a rischio, ovvero in una situazione borderline, valutata nell’8%.
Sexual Addiction in rapporto al sesso
Presenza: Donne 2% Uomini 10%
Borderline: Donne 4% Uomini 14%
Assenza: Donne 94% Uomini 76%
Vediamo poi distribuzione della Sexual Addiction in rapporto alla condizione sessuorelazionale, allo stato civileed al territorio.
Distribuzione della DdS tra i single e coloro che hanno un/a partner fisso/a
Single 64%
Con partner 36%
Distribuzione della DdS tra i single
Separati e Vedovi 77%
Celibi/Nubili 23%
Distribuzione della DdS nel territorio italiano
Nord 37%
Centro 32%
Sud e Isole 31%
Si noti ora come nei soggetti dipendenti da sesso, le disfunzioni sessuali quali Disfunzione Erettile ed Eiaculazione precoce sono sostanzialmente in linea con la media nazionale, mentre l’Anorgasmia ed i Disturbi dell’eccitazione decisamente superiori.
Dipendenza da sesso e desiderio sessuale.
La Sexual Addiction viene solitamente descritta come una “insaziabilità del desiderio sessuale”. In tale ottica, infatti, s’inserisce uno dei più accreditati studiosi del fenomeno, che la inquadra in una “disregolazione del desiderio sessuale” (Kafka, 2000), ma anche in ciò non vi è concordia. Pasini, ad esempio, pur mantenendo il desiderio sessuale in primo piano nella interpretazione delle dinamiche che conducono alla Sexual Addiction, sposta l’attenzione sulla “impossibilità di gestire” il desiderio sessuale. Non dunque un desiderio abnorme e senza limiti, ma una incapacità di governarlo, differendolo o reprimendolo.
Molti altri, però, sono gli inquadramenti proposti:
Carnes (1991, 1992) la concepisce come una relazione malata con gli altri; Coleman (1992) la inserisce nei disturbi ossessivo-compulsivi; Goodman (1998) la interpreta come difesa dall’ansia e la sofferenza interiore; Earle & Crow (1998) l’assimilano alla tossicodipendenza; Di Maria & Falgares (2004), molto prossimi all’interpretazione di Pasini, la definiscono come un’incapacità a differire la soddisfazione; Liggio, infine e più recentemente (2007), spostando l’ottica sul versante organico, la descrive come dipendenza da reazione orgasmica.
Tali interpretazioni, spesso in antitesi tra loro, ci danno la misura di come ancora siamo lontani dal comprendere non solo le radici della Sexual Addiction, ma anche le dinamiche sottese alle manifestazioni esteriori. Vale, pertanto, ciò che si è più sopra esposto e che cioè i nostri sforzi devono essere attualmente mirati ad una più approfondita osservazione, ad una raccolta rigorosamente fenomenologica degli elementi osservati, in attesa di poter essere in grado di proporre una sintesi esplicativa.
In proposito, la ricerca da me promossa nel 2007 con l’AIRS sul Desiderio Sessuale e di prossima pubblicazione nella loro interezza sulla “Rivista di Sessuologia”, CIC, Roma) ha evidenziato che non esiste una reale correlazione tra desiderio sessuale e Sexual Addiction, ma allo stesso tempo ha confermato ciò che si temeva, ovvero che la tendenza a crescere del fenomeno che già si registra negli USA è presente anche in Italia.
Da alcune domande mirate del questionario, infatti, la Sexual Addiction, nel nostro paese, sembrerebbe in crescita rispetto all’ultima rilevazione del 2004. Va notato che il questionario utilizzato per questa ricerca non era mirato all’evidenziazione della Sexual Addiction, ma – conoscendo ampiamente il fenomeno – sono state inserite alcune domande le cui risposte si riteneva potessero essere particolarmente indicative di tendenza.
Di seguito evidenziamo le relative domande, con le percentuali delle risposte.
– Ritieni che in coppia il sesso sia più importante dei sentimenti?
L’8% degli uomini e il 2% delle donne risponde “si, molto” (E1).
– Durante la giornata, pensi al sesso:
L’8% degli uomini e l’1% delle donne risponde “continuamente” (F5).
– Quando senti affiorare il desiderio sessuale e non puoi soddisfarlo, diventi irritabile?
L’8% degli uomini contro il 5% delle donne risponde “molto” (O1).
– Ti senti fortemente influenzato in alcune tue scelte dal desiderio sessuale?
L’8% degli uomini contro il 4% delle donne risponde “molto” (P1).
Conclusioni
L’inquadramento della Sexual Addiction è ancora lontano dall’esser chiaramente definito. Ciononostante siamo oggi in grado d’individuarne gli elementi caratteristici, avvicinandoci sempre di più alle sue radici etiopatogenetiche ed alle dinamiche che scatena.
Tra le diverse interpretazioni proposte, ritengo che la Sexual Addiction non possa considerarsi una patologia del desiderio sessuale. Coinvolge, infatti, l’uomo nella sua interezza somato-psichico-esistenziale e -molto probabilmente – agisce un ruolo decisivo nel mascheramento delle pulsioni autodistruttive e nella rimozione della morte. E se di “disrlegolazione” è possibile parlare, tale concetto va utilizzato per il “principio di realtà”, che osserviamo assolutamente annullato nel dipendente da sesso.
Comunque e indipendentemente da ogni possibile interpretazione, resta il fatto che tale problematica produce severissime ripercussioni a livello individuale e sociale, con risvolti spesso delinquenziali. L’impegno, dunque, nell’affrontare il problema non può circoscriversi solo a chi studia il fenomeno ed a quanti si prodigano nei tentativi terapeutici, ma altresì allargarsi a tutti coloro che sono in grado d’individuarne comportamenti precursori, favorendo l’arginare delle possibili conseguenze. L’impegno, poi, dovrebbe comprendere una corale riflessione sulla trasformazione del modello di società moderna che da sessuofobica, in pochi anni, si è trasformata sessuofila e di cui la Sexual Addiction sembra essere l’immagine più evidente.
Riferimenti Bibliografici
Avenia F. (2000), “Essenza e progetto”, Riv. Sessuol., vol. 24, n. 4.
Avenia F. (2004), “Dipendenze, illusioni e rimozione”, Riv. Sessuol. n. 28, 65.
Avenia F. (2005), “Il dipendente da sesso. Lettura fenomenologica”, Riv. Sessuol., vol. 29, n. 4.
Avenia F., Pistuddi A. et al. (2003), “Sexual Addiction Inventory: un questionario per la rilevazione della dipendenza da sesso”, Mission. Periodico trimestrale della Federazione Italiana degli Operatori dei Dipartimenti e dei Servizi delle Dipendenze. n. 8, pp. 36-37.
Avenia F., Pistuddi A. (2007), a cura di, Manuale sulla Sexual Addiction, FrancoAngeli, Milano.
Kraft-Ebing R. von (1886),Psychopathia sexualis, Enke, Stuttgart.
Herkov M., Gold M. S. e Edwards M. S. (2001), Sexual Addiction? http://www.psychcentral.com/library/sexaddicts_intro.htm.
Carnes P. (1991), Don’t call it love: recovery from sexual addiction, Bantam Books, New York.
American Psychiatric Association (APA) (2000), Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR), trad. it. Masson, Milano, 2001.
Liggio F. (2005), “La dipendenza da reazione orgasmica” Idee Psich 5, pp. 114-120
Di Maria F., Falgares G. (2004), “Sesso compulsivo”, Psicologia Contemporanea, n. 185, p. 24.
Coleman E. (1992), “Is your patient suffering from compulsive sexual behaviour?”, Psychiatric Annals, n. 22, pp. 320-325
Goodman A. (1998), Sexual addiction. An integrated approach. International Universities Press, Madison.
Earle R., Crow G. (1989), Lonely all the time: Understanding and overcoming sexual addiction, Pocket Books, New York.
Carnes P. (1992), Out of the shadows. Understanding sexual addiction, Hazelden, Center City.
Kafka M. P. (2000), “Il disturbo del comportamento ipersessuale non parafilico e compulsività/dipendenza sessuale”, Graziottin A. (a cura di) Principi e pratica di terapia sessuale, CIC, Roma.
Kafka M. P. (2004): “I disturbi correlati alle parafilie. Il disturbo del comportamento ipersessuale non parafilico e compulsività/dipendenza sessuale”, in Leiblum S.R., Rosen R.C., Principi e pratica terapia sessuale, CIC, Roma.
Lambiase E. (2001), La dipendenza sessuale, LAS, Roma.
Griffin Shelley E. (1991), Sex and love. Addiction, treatment, & recovery, Praeger, London.
Del Miglio C., Corbelli S. (2003), “Le nuove dipendenze”, Attualità in Psicologia, 18, nn. 1-2, pp. 9-36.
[1] Si pensi che, come rilevato da un’altra ricerca AIRS, si è notato che negli USA i siti web per la terapia della Sexual Addiction sono più di 1300 (AIRS 2007)
Dipendenza da sesso e desiderio sessuale
Atti del Convegno Dal Disagio alle Dipendenze
24 Novembre 2007
Ancona
organizzato da CIS – Centro Italiano di Sessuologia e da AIRT – Associazione Italiana Ricerca Timidezza e Fobie socialidi
Franco Avenia
Presidente Associazione Italiana per la Ricerca in Sessuologia (AIRS)
Vicepresidente Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica (FISS)
– Endocrinologia del disturbo di identità di genere
di Dott. Giancarlo Balercia Responsabile dell’Unità di Andrologia Medica della Clinica di Endocrinologia, Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche
Il transessualismo (o disturbo di identità di genere) nella maggior parte dei casi è un disturbo autodiagnosticato e può colpire sia soggetti di sesso femminile (disturbo female to male, FtM) che maschile (disturbo male to female, MtF. Quest’ultima forma è più frequente, con una sex-ratio di circa 3:1.)
In Italia, il provvedimento che regola il procedimento di riattribuzione di sesso è stato promulgato nel 1982 (legge n.164 del 14.04.82). Tranne casi particolari in cui risulti una specifica autorizzazione da parte del Tribunale dei Minori, l’autorizzazione alla riattribuzione di sesso può essere concessa solo a quanti abbiano raggiunto la maggiore età. Prima della promulgazione di questa legge le procedure medico-chirurgiche finalizzate al cambiamento di sesso erano illegali. Con la legge, è stato sancito che il trattamento medico-chirurgico è possibile, ma deve risultare necessario ed essere autorizzato con sentenza. La legge ha avuto inoltre un carattere “sanatorio”, legittimando situazioni di fatto già esistenti al momento della sua promulgazione.
Non sempre per i transessuali il ricorso all’intervento chirurgico di riattribuzione del sesso risulta indispensabile. D’altra parte anche questi casi necessitano di uno status giuridicamente riconosciuto, status che con la legge 164 viene subordinato esclusivamente ad una effettiva trasformazione chirurgica irreversibile.
Eziopatogenesi
Riguardo all’eziopatogenesi del DIG, sono stati chiamati in causa fattori psichici e fattori biologici.
· Fattori psichici
Sono stati ipotizzati dei fattori predisponenti allo sviluppo di un DIG (traumi infantili, eccessiva vicinanza alla madre, assenza del padre, ecc.) che però non trovano un supporto empirico solido.
· Fattori biologici
Nei mammiferi inferiori, la differenziazione del SNC in “senso sessuale maschile” avviene in presenza di adeguate quantità di testosterone, altrimenti evolve in direzione femminile; in studi animali, la presenza di testosterone determina la morfologia di alcuni nuclei cerebrali, nonché abolisce la capacità delle cellule ipofisarie di rispondere in senso LH ad uno stimolo estrogenico. In virtù di queste osservazioni, come possibile spiegazione del fenomeno del transessualismo, è stata invocata una discrepanza tra la differenziazione genitale e la differenziazione sessuale cerebrale. Al momento tuttavia, siamo ancora lontani da un preciso inquadramento eziopatogenetico.
Aspetti diagnostici e terapeutici
E’ obbligo del clinico capire quanto la diagnosi sia irreversibile e netta e quanto un intervento medico-chirurgico porti a benessere psico-fisico e a miglioramento della qualità di vita. Per questo si è reso necessario arrivare a definire degli standard di cura.
Il soggetto che si presenta per un presunto DIG deve iniziare un percorso, che la World Health Professional Association for Transgender Health (WPATH) ha cercato di impostare definendo i criteri minimi di trattamento e ponendo le basi per un team basato su multidisciplinarietà ed integrazione tra le diverse figure professionali (psichiatri, psicologi, endocrinologhi e chirurghi). I requisiti minimi per la procedura terapeutica sono:
· un’accurata diagnosi
· l’esperienza di vita reale, preferibilmente accompagnata da psicoterapia
· la terapia ormonale
· la terapia chirurgica (riassegnazione chirurgica di sesso, RCS).
La fase diagnostica
Prima che sia preso in considerazione qualsiasi tipo d’intervento fisico, è necessaria un’esplorazione estensiva delle risorse personali, familiari e sociali del soggetto, una valutazione puntuale del funzionamento psichico e della psicopatologia. Il gruppo medico dovrà effettuare un’accurata diagnosi differenziale con i disturbi della differenziazione sessuale (valutazione di cariotipo, dosaggi ormonali ed esame obiettivo) e con condizioni psichiche potenzialmente confondibili con DIG. Tra queste, una semplice non conformità allo stereotipo di genere, omosessualità egodistonica, crisi adolescenziale con disagio riguardo al genere, feticismo da travestimento (presente in circa il 30% dei soggetti che richiedono RCS), schizofrenia (presente in meno del 5% dei soggetti che richiedono RCS) e gravi disturbi di personalità (es. disturbo di personalità borderline). Il paziente deve poi essere informato su tutte le procedure ed i trattamenti previsti, nonché sui rischi connessi a tali trattamenti e sull’irreversibilità di alcuni di essi. Bisogna inoltre discutere con il paziente riguardo alle aspettative più o meno realistiche relative ai benefici del trattamento e aiutarlo a valutare le varie possibilità terapeutiche, sia ormonali sia chirurgiche.
I criteri diagnostici per DIG secondo il DSM-IV TR sono:
· Una forte e persistente identificazione col sesso opposto
· Persistente malessere riguardo al proprio sesso o senso di estraneità riguardo al ruolo sessuale del proprio sesso.
· L’anomalia non è concomitante con una condizione fisica intersessuale
· L’anomalia causa disagio clinicamente significativo o compromissione dell’area sociale o lavorativa.
Il DSM-IV identifica tre categorie in base all’età del soggetto in esame (Disturbo di Identità di Genere dell’Infanzia, dell’Adolescenza o dell’Età Adulta) e altre 4 sottocategorie relative all’orientamento sessuale (sessualmente attratto da maschi, da femmine, sia da maschi che da femmine, né da maschi né da femmine). Le persone per le quali non siano applicabili i criteri sopraelencati devono essere classificate nel gruppo del Disturbo di Identità di Genere Non Altrimenti Specificato. Questi criteri diagnostici sono stati confermati anche nell’ultima versione del Manuale, il DSM IV TR del 2000.
Nella classificazione europea (ICD-10: International Classification of Diseases-10), permane il termine “transessualismo”.
Da un punto di vista clinico, i DIG FtM costituiscono un gruppo omogeneo: hanno in genere fin dall’infanzia un’identità transessuale, una preferenza verso giochi più tipicamente maschili, un orientamento verso persone del loro sesso genotipico, un’enorme sofferenza relativamente allo sviluppo mammario e al menarca.
All’interno del gruppo dei DIG MtF, sono invece evidenziabili due sottotipi:
il primo caratterizzato dalla presenza della disforia di genere fin dall’infanzia e dalla convinzione precoce di essere nati nel corpo sbagliato (transessualismo primario, secondo Person e Ovesey); in genere in questo sottotipo l’orientamento sessuale è volto verso persone dello stesso sesso genotipico (transessualismo omosessuale secondo Blanchard).
il secondo caratterizzato dall’instaurarsi dell’identità transessuale in epoca postpuberale, e spesso associato ad altre condizioni quali il feticismo da travestimento, l’omosessualità o il travestitismo (transessualismo secondario, secondo Person e Ovesey); in questo sottotipo in genere l’orientamento sessuale è più variabile e spesso l’attività di cross-dressing è associata a un’eccitazione sessuale alla fantasia di vedersi come donna (transessualismo autoginefilico secondo Blanchard).
Tali sottotipi hanno un importante valore clinico, in quanto nel DIG primario la prognosi relativa alla RCS è migliore.
L’esperienza di vita reale
Questa fase consiste nel tentativo pratico del soggetto di vivere a tempo pieno come membro del sesso desiderato. Durante tale periodo il soggetto vive stabilmente negli abiti e nel ruolo del sesso desiderato, in modo da gestire la propria identità di genere nella vita di tutti i giorni. Questa esperienza serve a valutare la decisione del paziente, la sua capacità di funzionamento nel genere preferito, l’adeguatezza del supporto sociale, economico e psicologico. Senza tale esperienza il soggetto conoscerebbe solo le sue convinzioni e potrebbe sviluppare delle attese magiche riguardo ai risultati dell’intervento.
L’esperienza di vita reale andrebbe intrapresa per gradi: prima in un ambiente di fiducia e dopo in pubblico. Prima che possa essere considerata l’opportunità della riassegnazione chirurgica, deve essere condotta un’esperienza di vita reale completa di almeno un anno durante la quale il soggetto è in contatto con un professionista della salute mentale.
La terapia ormonale
La terapia ormonale dovrebbe precedere ogni intervento chirurgico sui genitali. La soddisfazione relativa agli effetti della terapia ormonale consolida l’identità della persona come membro appartenente al genere d’elezione e aumenta la convinzione a procedere nel percorso.
Un’insoddisfazione per gli effetti del trattamento ormonale può segnalare ambivalenza riguardo al percorso di riattribuzione. Alcuni soggetti che si sottopongono a trattamento ormonale non desiderano interventi chirurgici.
I criteri minimi, definiti dagli SOC per iniziare la terapia ormonale sono:
– una esperienza di vita reale di almeno tre mesi o un periodo di psicoterapia
– raggiungimento di un ulteriore consolidamento dell’identità di genere durante l’esperienza di vita reale o la psicoterapia
– riscontro di progressi nel superamento di problemi legati alla salute mentale
– conoscenza degli effetti degli ormoni e probabilità che il paziente li assuma in modo responsabile.
Il trattamento ormonale varia da prima a dopo l’intervento chirurgico. (A parte si riporta una tabella con il tipo di terapia più comunemente usato in diversi Centri Europei e Statunitensi prima dell’intervento chirurgico).
Trattamento ormonale MtF ed effetti collaterali
Gli estrogeni (estradiolo, etinilestradiolo) sono la pietra angolare per il processo di femminilizzazione dei pazienti MtF; inducono i cambiamenti fisici e psicologici in senso femminile, riducono la libido. La dose tipicamente raccomandata è dalle due alle tre volte maggiore di quella utilizzata nella terapia ormonale sostitutiva nelle donne in menopausa.
La somministrazione di modulatori ormonali (progestinici e antiandrogeni) può potenziare gli effetti degli estrogeni. Gli antiandrogeni (ciproterone, spironolattone) abbassano i livelli di testosterone ematico e bloccano il suo legame al recettore androgenico, con conseguente attenuazione dei caratteri sessuali maschili secondari
Il trattamento ormonale permette innanzitutto il raggiungimento di due target fondamentali: soppressione della produzione endogena di androgeni (testosterone) e femminilizzazione dell’aspetto corporeo, prima di tutto con incremento del volume mammario. L’aumento del volume mammario inizia generalmente dopo 2-3 mesi dall’inizio della terapia ormonale e continua per due anni; solo un terzo dei soggetti raggiunge un volume da essi ritenuto accettabile. Per quanto riguarda i peli corporei, i migliori risultati si hanno dopo circa quattro mesi di trattamento. La terapia causa riduzione del volume testicolare e, nella maggior parte dei soggetti, soppressione delle erezioni (in alcuni soggetti si possono presentare erezioni nei momenti di eccitazione sessuale). Dopo gonadectomia si tende a passare ad un dosaggio pari alla metà del dosaggio precedente all’intervento.
Tra gli effetti collaterali della terapia, il più importante è rappresentato dagli eventi tromboembolici; sembra comunque ragionevole attenersi alla raccomandazione di utilizzare terapia estrogenica transdermica, almeno dopo i 40 anni (si consiglia screening dell’assetto coagulativo prima dell’inizio della terapia estrogenica). Si raccomanda di interrompere la terapia estrogenica 3 – 4 settimane prima degli interventi di chirurgia maggiore, per evitare i rischi legati ad uno stato di ipercoagulabilità.
È noto che durante la terapia con estrogeni si ha un aumento dei livelli circolanti di prolattina; durante il trattamento degli MtF i valori possono anche raggiungere livelli maggiori di 1000 mU/L (20% dei casi), che in un 7% dei soggetti rimarranno persistentemente elevati. A lungo termine il trattamento estrogenico porta, inoltre, ad un aumento delle HDL e a una diminuzione delle LDL e dell’attività della lipasi epatica (che riduce le HDL e aumenta le LDL piccole e dense), ma purtroppo anche ad aumento dei trigliceridi, della pressione arteriosa, del tessuto adiposo sottocutaneo e viscerale e alla diminuzione dell’attività della lipasi lipoproteica e della sensibilità all’insulina.
L’infertilità è l’inevitabile prezzo da pagare per questi pazienti.
Esistono delle controindicazioni alla terapia ormonale, assolute (grave ipertensione diastolica, cardiopatia ischemica, valvulopatie, disturbi di conduzione, cardiomiopatia, miocarditi recenti, pregresse tromboflebiti o episodi di tromboembolismo, patologia cerebrovascolare, epatopatia come movimento delle transaminasi dndd, epatite, abuso di droga, alcolismo) e relative (iperprolattinemie, familiarità per carcinoma mammario, forte tabagismo, grave obesità, grave dislipidemia).
Trattamento ormonale FtM ed effetti collaterali
L’obiettivo è indurre virilizzazione e bloccare il ciclo mestruale. La terapia si basa sull’utilizzo di testosterone, la cui somministrazione causa aumento dei peli corporei (anche a livello del volto) e calvizie di tipo maschile, aumento di peso e riduzione della massa grassa a livello dei fianchi, aumento del volume clitorideo, moderata atrofia mammaria. Le formulazioni e la dose consigliate sono uguali a quelle utilizzate nel trattamento del paziente maschio ipogonadico. L’utilizzo di progestinici accelera la scomparsa del ciclo mestruale.
Gli effetti collaterali della terapia con testosterone includono infertilità, acne, instabilità del tono dell’umore, aumento del desiderio sessuale; le ovaie divengono simili a quelle dell’ovaio policistico.
Le controindicazioni al trattamento sono le patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, pregresse tromboembolie, grave obesità, diabete mellito scompensato. Dopo l’intervento chirurgico la terapia viene continuata per mantenere la virilizzazione e prevenire l’osteoporosi.
La terapia chirurgica
Dopo almeno 12 mesi di esperienza di vita reale e almeno 6 mesi di terapia ormonale, se il soggetto ha ottenuto un ulteriore consolidamento dell’identità di genere e ha fatto progressi nel superamento di problemi legati alla salute mentale, è possibile per lui accedere alla terapia chirurgica.
Prognosi
L’insoddisfazione post-intervento chirurgico è rara. Un gruppo di figure professionali dedicato alla gestione del disturbo è la miglior risposta che si può offrire a queste persone, che necessitano di una assistenza a lungo termine, di un accompagnamento durante il loro comunque difficile cammino.
Dott. Giancarlo Balercia Responsabile dell’Unità di Andrologia Medica della Clinica di Endocrinologia, Ospedali Riuniti di Ancona, Università Politecnica delle Marche
– RICERCA PROMOSSA DALL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA IN SESSUOLOGIA (AIRS)
(SOMMINISTRAZIONE DIRETTA: 1307 SOGGETTI ; SOMMINISTRAZIONE ON-LINE: 75 SOGGETTI)
DIRETTORE RICERCA FRANCO AVENIA: Presidente dell’ Associazione Italiana per la Ricerca in Sessuologia (AIRS), Vicepresidente della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica (FISS).
COORDINATRICE ANNALISA PISTUDDI: Segretario Generale dell’Associazione Italiana per la Ricerca in Sessuologia (AIRS).
NAZARENA PATRIZI : AIRS, CIS
FRANCESCA CERRETANI: AIRS, CIS
GIUSY RUSSO: AIRS, CIS
QUESTIONARIO PER LA RILEVAZIONE DEL DESIDERIO SESSUALE
QRDS/2 PROMOSSO DALL’ASSOCIAZIONE ITALIANA PER LA RICERCA IN SESSUOLOGIA (AIRS)
Numero questionari: 1307
Modalità di somministrazione: ogni questionario è stato compilato singolarmente dai soggetti alla presenza di figure professionali del settore (Psicologi, Sessuologi).
Somministratori: Psicologi, Sessuologi.
Città di somministrazione: Roma, Milano, Firenze, Siena, Rieti sono le città con il campione più rappresentativo, seguono poi con percentuali minori città quali Cosenza, Crotone, Potenza, Pistoia, Prato, Padova ed anche alcuni centri della Campania e della Puglia.
STRUTTURA DEL QRDS/2:
Nel questionario vengono raccolte inizialmente informazioni quali : età, sesso, stato civile e orientamento sessuale del soggetto, garantendone il completo anonimato. Il questionario consta di 15 domande a risposta chiusa che variano da 2 a 5 alternative di risposta. Si compone di quattro parti in cui vengono indagati aspetti diversi.
Nella prima parte (domande 1-5) viene indagato il sesso come aspetto della vita.
Viene richiesto ai soggetti di esprimere la propria opinione sull’importanza che il sesso ha per la maggior parte delle persone (2), per le donne (3), per gli uomini (4) e all’interno della vita di coppia (5).
Nella seconda parte del QRDS/2 (domande 6-8) vengono esaminati specifici indicatori del desiderio sessuale ossia se e quanto, durante la giornata, al soggetto capiti di pensare al sesso (6), di sentirsi fortemente eccitato (7), di trovarsi a fare fantasie sessuali (8).
Nella terza parte viene analizzato il grado di soddisfazione del soggetto rispetto alla propria vita sessuale sia in modo diretto (9), sia in modo indiretto, indagando il grado di soddisfazione in riferimento alle modalità (10) e alla frequenza (11) dell’attività sessuale.
Nella quarta parte viene indagato come e quanto il desiderio sessuale ed il sesso condizionino (12-13) o abbiano condizionato (15) la vita dei soggetti e come tali soggetti si comporterebbero nel caso in cui non fossero soddisfatti del loro partner sul piano sessuale (14).
ANALISI COMPARATE DELLE PERCENTUALI:
Campione totale: 1307 soggetti
1. Campioni parziali della variabile sesso:
Uomini 554 pari al 42,4%
Donne 747 pari al 57,2%
Non Dichiarato 6 pari allo 0,4%
2. Campione parziale della variabile orientamento sessuale:
· Eterosessuali
Uomini 448 pari all’81%
Donne 625 pari all’ 84 %
· Bisessuali
Uomini 11 pari al 2%
Donne 21 pari al 3%
· Omosessuali
Uomini 14 pari al 3%
Donne 3 pari allo 0%
· Non Dichiarati
Uomini 81 pari al 15%
Donne 98 pari al 13,1%
Percentuali Orientamento sessuale nel campione totale:
· Eterosessuali 82,5%
· Bisessuali 2,5%
· Omosessuali 1,5%
· Non Dichiarati 14%
3. Campione parziale della variabile stato civile:
· Accoppiati:
Uomini 293 pari al 53%
Donne 432 pari al 58%
· Single:
Uomini 248 pari al 45%
Donne 300 pari al 40%
· Non dichiarati
Uomini 13 pari al 2%
Donne 15 pari al 2%
Percentuali della variabile stato civile sul campione totale:
· Accoppiati 55,5%
· Single 42,5%
· Non Dichiarati 2%
4. Campioni parziali della variabile età:
· ≤ 24 anni
Uomini 185 pari al 33%
Donne 304 pari al 41 %
· 25 – 34 anni
Uomini 195 pari al 35%
Donne 238 pari al 32%
· 35 – 44 anni
Uomini 79 pari al 14%
Donne 88 pari al 12%
· 45 – 54 anni
Uomini 46 pari all’ 8%
Donne 64 pari al 9%
· ≥ 55 anni
Uomini 38 pari al 7%
Donne 37 pari al 5%
· Non dichiarata
Uomini 11 pari al 2%
Donne 16 pari al 2%
Percentuali variabile età sul campione totale:
· ≤ 24 anni pari al 37%
· 25 – 34 anni pari al 33,5%
· 35 – 44 anni pari al 13%
· 45 – 54 anni pari all’ 8,5%
· ≥ 55 anni pari al 6%
· Non dichiarata pari al 2%
Dall’analisi quantitativa dei dati risulta che il campione è composto in maggioranza da donne (14,8% in più rispetto al campione maschile), eterosessuali, accoppiati, di età compresa tra i 18 e i 34 anni.
ANALISI STATISTICO – COMPARATIVA DELLE SINGOLE DOMANDE
1. Per te il sesso è un aspetto della vita:
Il 52% degli uomini risponde “molto importante” contro il 27% delle donne (A1).
Il 45% degli uomini risponde “importante” contro il 64% delle donne (A2).
Il 3% degli uomini risponde “ poco importante” contro il 7% delle donne (A3).
Lo 0% degli uomini contro l’1% delle donne risponde “non importante” (A4).
3. Per le donne, ritieni che il sesso sia:
Il 32% degli uomini risponde “molto importante” contro il 19% delle donne (C1).
Il 57% degli uomini contro il 73% delle donne risponde “importante” (C2).
Il 10 % degli uomini contro l’8% delle donne risponde “poco importante” (C3).
L’1% degli uomini contro lo 0% delle donne risponde “non importante” (C4).
4. Per gli uomini, ritieni che il sesso sia:
Il 61% degli uomini risponde “molto importante” contro l’80% delle donne (D1).
Il 36% degli uomini contro il 19% delle donne risponde “importante” (D2).
L’1% sia di uomini che di donne risponde “ poco importante” (D3).
L’1% degli uomini contro lo 0% delle donne risponde “non importante” (D4).
5. Ritieni che in coppia il sesso sia più importante dei sentimenti?
Il 7% degli uomini e il 2% delle donne risponde “si, molto” (E1).
Il 12% degli uomini contro il 9% delle donne risponde “si, un poco” (E2).
Il 26% degli uomini contro il 30% delle donne risponde “no, sono più importanti i
sentimenti” (E3).
Il 55% degli uomini ed il 58% delle donne risponde “sono ugualmente importanti” (E4).
Dall’analisi di queste prime risposte si evince come uomini e donne considerino il sesso un aspetto rilevante della vita. Va comunque sottolineato come esso risulti più importante per il campione maschile rispetto a quello femminile.
Sia uomini che donne ritengono, in egual misura, che il sesso sia un aspetto importante nella vita della maggior parte delle persone, ma se parliamo del valore che esso ricopre per le donne, i valori sono differenti.
Mentre una buona percentuale di uomini (32%) ritiene, infatti, che il sesso per le donne sia “molto importante”, solo una piccola parte di esse la pensa allo stesso modo.
Le opinioni di entrambi convergono poi nel ritenere che il sesso per le donne sia “importante”. Parlando della rilevanza che gli uomini danno al sesso, la maggioranza delle donne ritiene che esso sia per loro “ molto importante”.
Il sesso, dunque, secondo il campione femminile è, per gli uomini, molto più importante di quanto non lo sia per le donne.
Per quanto riguarda la vita di coppia si evidenzia che il peso dato al sesso e ai sentimenti è lo stesso sia per gli uomini che per le donne.
E’ interessante sottolineare, inoltre, che una buona percentuale maschile, di poco inferiore a quella femminile, considera i sentimenti più importanti del sesso.
Dall’analisi della seconda parte del questionario si evidenzia come sia gli uomini che le donne durante la giornata pensino al sesso e quanto gli uomini lo facciano con una frequenza maggiore rispetto alle donne. Entrambi i sessi riferiscono di sentirsi qualche volta eccitati durante la giornata, anche se agli uomini capita più assiduamente.
Si può inoltre notare come, ad una minima percentuale di uomini, rispetto ad una più significativa di donne, capiti raramente di non pensare al sesso e di non sentirsi fortemente eccitata durante il corso della giornata.
Per quanto riguarda le fantasie sessuali i dati si sovrappongono ai precedenti.
Gli uomini, a tutte le domande che indagano il desiderio sessuale, rispondono “spesso” con una frequenza di tre volte maggiore rispetto alle donne (F4: 43% vs 13%; G4: 20% vs 5%; H4: 26% vs 8%).
Si evidenzia, dunque, da quanto detto in precedenza, come il desiderio sessuale degli uomini sia più forte di quello delle donne.
Un dato allarmante risulta essere, in riferimento al campione maschile, la presenza di circa un 5% di soggetti che, pensando continuamente al sesso, sentendosi sempre fortemente eccitati e facendo frequentemente fantasie sessuali durante la giornata, si presentano come possibili “dipendenti da sesso”.
10. Vorresti che la tua vita sessuale fosse più ricca e varia?
Il 19% degli uomini contro il 17% delle donne risponde “si, molto più ricca e varia” (L1).
Il 43% degli uomini contro il 36% delle donne risponde “si, un poco più ricca e varia” (L2).
Il 35% degli uomini contro il 43% delle donne risponde “no, va bene così” (L3).
Il 3% sia di uomini che di donne risponde “non me ne importa” (L4).
11. Vorresti che la tua attività sessuale fosse più frequente?
Il 21% degli uomini contro il 19% delle donne risponde “si, molto più frequente” (N1).
Il 43% degli uomini contro il 41% delle donne risponde “si, un poco più frequente” (N2).
Il 33% degli uomini contro il 36% delle donne risponde “no, va bene così” (N3).
Il 2% di uomini contro il 3% di donne risponde “ non me ne importa” (N4).
Le domande alla terza parte del questionario analizzano il grado di soddisfazione del soggetto rispetto alla propria vita sessuale. Le risposte mettono in evidenza che, sia per la frequenza, sia per le modalità dei rapporti sessuali, l’intero campione risulta abbastanza soddisfatto.
14. Pensi che potresti lasciare il/la tuo/a partner se a causa sua non riuscissi ad essere pienamente soddisfatto/a sul piano sessuale?
Il 41% di uomini e di donne rispondono di “si” (Q1).
Il 59% degli uomini ed il 58% delle donne rispondono di “no” (Q2).
Analizzando le risposte dell’ultima parte del questionario, si nota come non vi siano differenze significative nel comportamento di uomini e di donne nel momento in cui non riescano a soddisfare il desiderio sessuale. Gli uomini, inoltre, riferiscono di sentirsi poco influenzati nelle proprie scelte dal desiderio sessuale, mentre le donne affermano di non esserne affatto influenzate.
Alla domanda: “In passato, il sesso ha condizionato alcuni aspetti importanti della tua vita?” entrambi i sessi rispondono in maggioranza che solo in qualche caso il sesso ha condizionato la loro vita, la stessa percentuale di donne afferma, invece, di non esserne mai stata influenzata.
Circa la stessa percentuale di uomini (6%) che alle domande 6 – 8 rispondeva di pensare continuamente al sesso, di sentirsi sempre eccitata e di fare continuamente fantasie sessuali durante la giornata, a queste ultime domande risponde di irritarsi molto quando sente di non poter soddisfare il desiderio sessuale, di sentirsi molto influenzata da esso nelle proprie scelte ed afferma, inoltre, che il sesso in passato ha condizionato continuamente la propria vita.
Tali risposte sono un ulteriore possibile indicatore della sexual addiction e potrebbero dunque confermare l’intuizione precedente secondo la quale, circa il 6% del campione totale mostri un profilo di dipendenza da sesso.
Quando viene chiesto ai soggetti se lascerebbero il proprio partner se a causa sua non riuscissero ad essere soddisfatti sul piano sessuale, le risposte di uomini e donne si sovrappongono, sia in senso positivo che negativo. Anche se con uno scarto poco considerevole prevale però la percentuale di soggetti che non lascerebbero il proprio partner.
DATI INTERNET:
I seguenti dati sono stati raccolti, garantendo il completo anonimato, mediante la compilazione on-line del questionario, disponibile sul sito (www.airs-online.org) dell’Associazione Italiana per la Ricerca in Sessuologia (AIRS).
Totale Utenti 75
Uomini 41
Donne 34
Etero 64
Bisex 3
Omosex 8
Single 39
Accoppiati 36
Età 18-51
Campione totale: 75 soggetti
Variabile sesso:
· Uomini 41 pari al 55%
· Donne 34 pari al 45%
Variabile orientamento sessuale:
· Eterosessuali 64 pari all’ 85%
· Bisessuali 3 pari al 4%
· Omosessuali 8 pari all’ 11%
Variabile stato civile:
· Accoppiati 36 pari al 48%
· Single 39 pari al 52%
Variabile età:
· L’età dei soggetti è compresa tra i 18 e i 51 anni
Dall’analisi quantitativa dei dati risulta che il campione è composto in maggioranza da uomini (15% in più rispetto al campione femminile), eterosessuali, single, di età compresa tra i 18 e i 51 anni.
ANALISI STATISTICO – COMPARATIVA DELLE SINGOLE DOMANDE
Per te il sesso è un aspetto della vita:
Il 56% degli uomini risponde “molto importante” contro il 35% delle donne (A1).
Il 39% degli uomini risponde “importante” contro il 62% delle donne (A2).
Il 2,5% degli uomini risponde “ poco importante” contro il 3% delle donne (A3).
Il 2,5% degli uomini risponde “non importante” contro lo 0% delle donne (A4).
3. Per le donne, ritieni che il sesso sia:
Il 15% degli uomini risponde “molto importante” contro il 26% delle donne (C1).
Il 70% degli uomini contro il 50% delle donne risponde “importante” (C2).
Il 15 % degli uomini contro il 24% delle donne risponde “poco importante” (C3).
Né uomini né donne rispondono “non importante” (C4).
4. Per gli uomini, ritieni che il sesso sia:
Il 49% degli uomini risponde “molto importante” contro il 65% delle donne (D1).
Il 51% degli uomini contro il 35% delle donne risponde “importante” (D2).
Né uomini né donne rispondono “ poco importante” (D3).
Né uomini né donne rispondono “non importante” (D4).
Ritieni che in coppia il sesso sia più importante dei sentimenti?
Il 5% degli uomini ed il 6% delle donne risponde “si, molto” (E1).
Il 24% degli uomini contro il 9% delle donne risponde “si, un poco” (E2).
Il 22% degli uomini contro il 20% delle donne risponde “no, sono più importanti i
sentimenti” (E3).
Il 49% degli uomini ed il 65% delle donne risponde “sono ugualmente importanti” (E4).
10. Vorresti che la tua vita sessuale fosse più ricca e varia?
Il 41% degli uomini contro il 24% delle donne risponde “si, molto più ricca e varia” (L1).
Il 36.5% degli uomini contro il 47% delle donne risponde “si, un poco più ricca e varia” (L2).
Il 19.5% degli uomini contro il 29% delle donne risponde “no, va bene così” (L3).
Il 3% degli uomini contro lo 0% donne risponde “non me ne importa” (L4).
11. Vorresti che la tua attività sessuale fosse più frequente?
Il 41% degli uomini contro il 26.5% delle donne risponde “si, molto più frequente” (N1).
Il 39% degli uomini ed il 47% delle donne risponde “si, un poco più frequente” (N2).
Il 17% degli uomini contro il 26.5% delle donne risponde “no, va bene così” (N3).
Il 3% di uomini contro lo 0% di donne risponde “ non me ne importa” (N4).
14. Pensi che potresti lasciare il/la tuo/a partner se a causa sua non riuscissi ad essere pienamente soddisfatto/a sul piano sessuale?
Il 49% degli uomini contro il 41% delle donne risponde “si” (Q1).
Il 51% degli uomini contro il 59% delle donne risponde “no” (Q2).
CONFRONTO TRA I RISULTATI DEL CAMPIONE A SOMMINISTRAZIONE DIRETTA E ON-LINE
I risultati ricavati dall’analisi dei dati del campione che ha compilato il questionario in modalità on-line, confermano le ipotesi esposte in precedenza sul campione a cui il questionario è stato somministrato da figure professionali; sia per quel che concerne l’importanza data al sesso da uomini e donne, sia per l’influenza che il sesso e il desiderio sessuale hanno ed hanno avuto nella vita dei soggetti.
10. Vorresti che la tua vita sessuale fosse più ricca e varia?
11. Vorresti che la tua attività sessuale fosse più frequente?
Per quanto riguarda il grado di soddisfazione dei soggetti rispetto alla propria vita sessuale, le uniche differenze rilevanti riguardano la maggiore percentuale di uomini del campione on-line (41%) che dice di desiderare una vita sessuale “molto più ricca e varia” e “molto più frequente”, rispetto ad una più esigua (L1: 19%; N1: 21%) di uomini del primo campione .
Pur trattandosi di un campione poco rappresentativo, è interessante evidenziare come, cio’ nonostante, i risultati siano molto simili a quelli del campione più numeroso, e conseguentemente come le ipotesi precedenti vengano confermate
Franco Avenia, Annalisa Pistuddi, Francesca Cerretani, Nazarena Patrizi, Giusy Russo.
– Alcol: disagio esistenziale e craving biopsichico
Dott. Carmine Grimaldi
Direttore Centro di Psicoterapia Dinamica – Ancona. Docente alla Scuola di Psicoterapia Bionomica di Cagliari.
Aristotele suggeriva, ai giovani soprattutto, di bere – dal cratere – in quantità moderata, il vino miscelato con acqua. Nella campagne del sud Italia, al tempo dell’agricoltura pre-tecnologica, i contadini consumavano il vino per “aiutarsi” nel duro lavoro quotidiano. I muratori, ancora oggi, continuano la tradizione di bere alcolici per sopportare meglio la fatica. Nel Nord-Est italiano si beve il grappino, al mattino, per superare i rigori dell’inverno freddo e piovoso.
Le TV del mondo mostrano belle e seducenti ragazze che invitano a degustare vino e/o altre sostanze a contenuto alcolico. I sommelier decantano l’arte di abbinare i vini e gli alcolici con i cibi in speciali situazioni sociali. A Monaco di Baviera, ogni anno, si celebra l’Octoberfest, nella quale la birra è l’indiscussa “regina”. In Giappone il sake si beve seguendo gesti e rituali di antica consuetudine dando così al consumo alcolico un “senso” psicologico e sociale.
In tutto il mondo, oggi come ieri, l’uso di sostanze con contenuto alcolico è, ed è stato, una pratica comune, acquisendo di volta in volta ed in base all’occasione, valore di rito, di alimento, di espressione artistica e quant’altro. Il passaggio dall’“uso” all’“abuso” del consumo delle sostanze alcoliche è osservazione comune in tutte le società ed in tutti i tempi.
Si parla di “abuso” di sostanze alcoliche quando la loro modalità d’uso esce dalle “regole” abituali di consumo alimentare e/o rituale e genera alterazione nel comportamento del bevitore compromettendone l’attività lavorativa e le relazioni sociali. Quando la condotta di abuso dura nel tempo e impone l’instaurarsi di un particolare “stile” alcolico, allora si determina una condizione di patologica e si parla di “alcolismo”.
In questo intervento mi limiterò a trattare il fenomeno dell’abuso di alcol nelle nuove generazioni. Per la patologia rimando alle pubblicazioni specifiche e segnalo in proposito la riflessione del collega M.G.L. De Rosa, pubblicato sul libro Alcolismo: analisi del craving. Sul piano concettuale e pragmatico è molto difficile distinguere e separare in modo netto il bevitore che fa soltanto uso di alcol da quello che ne abusa, soprattutto se si tiene conto delle ampie variazioni sub-culturali dei numerosi gruppi sociali presenti nelle società industrializzate. Alcuni gruppi disapprovano l’uso voluttuario di alcol fino a bandirlo in modo assoluto, altri gruppi accettano l’alcol per il piacere che può offrire o per fini terapeutici per alleviare il dolore e la sofferenza.
In epoca recente, nella società italiana stiamo osservando nuove modalità di bere delle nuove generazioni che sembrano innovative nelle motivazioni e nel rituale rispetto al passato. L’abuso di alcol è diventato un rito da praticare insieme ad altri coetanei in luoghi e tempi determinati alla ricerca dello “sballo” ossia la ricerca di vivere una intensa “emozione”, fine a se stessa, fino ad arrivare allo stordimento ed alla debilitazione corporea. Dai racconti dei giovani emergono alcune caratteristiche tipiche del fenomeno: 1) La precoce età. A 13-14 anni è sempre più frequente osservare ragazzi che fanno abuso di alcolici. 2) La pariteticità nel genere sessuale. Maschi e femmine condividono lo stile di vita, che un tempo era una caratteristica soprattutto maschile. 3) L’imitazione ed il bisogno di “sentirsi” all’interno del gruppo di “amici” sembra la “motivazione” della condotta. 4) Il fine deliberato dello “sballo” in discoteca ed il sabato sera.
Molti, educatori, psicologi, sociologi etc. si interrogano sulle ragioni del fenomeno e cercano indizi e risposte per definirne i contorni, senza trovare ancora un paradigma condiviso che lo spieghi. A partire dalla mia esperienza clinica ho formulato una ipotesi di lettura dell’abuso di sostanze alcoliche nelle nuove generazioni. Io credo che esso sia l’espressione di un disagio psico-esistenziale che investe sia la società nel suo complesso che la personalità del giovane. Il “disagio” manifesta nelle giovani generazioni l’assenza della capacità di vivere l’emozione in forma sensata nella coscienza di sé e nella società la tendenza più o meno occulta al consumismo. Cercherò di esplicitare queste affermazioni.
La “fisiologia” della Psiche ha dimostrato che la Persona presente in una condizione dell’esistenza è capace di generare le emozioni in conseguenza di stimoli interni e/o esterni. L’emozione può essere definita, infatti, come l’elemento psico-organismico che segnala una “variazione” di stato, attiva ed induce all’azione per ristabilire l’omeostasi (equilibrio interno). Le emozioni rappresentano l’immediatezza della vita e scaturiscono in modo spontaneo, autogeno, involontario. Quando non sono “significate” mettono a “soqquadro” la Persona come è indicato dalla etimologia del termine derivato dal latino ex-movere nel senso del “mettere fuori-di-sé”. L’emozione dunque produce un cambiamento interno che quando non viene percepito e significato produce “disagio” ed il conseguente bisogno di trovare una soluzione per neutralizzarlo in quanto è fonte di dispiacere e sofferenza. Chi non sa gestire l’emozione ricorre all’alcol per soffocare nei suoi effetti l’inquietudine, la precarietà, l’insoddisfazione presenti nell’esistenza di ogni uomo.
Io credo che il disagio giovanile sia la conseguenza dell’incapacità di gestire l’emozione in una forma adeguata e finalizzata alla soddisfazione. Per superare lo stato spiacevole il giovane abusa delle sostanze alcoliche che lo stordiscono e lo “separano” in maniera artefatta dallo stato emozionale. Per superare il disagio è necessario, perciò, a mio avviso, l’educazione allo sviluppo della capacità di essere coscienti di sé dando “senso” alle emozione.
Nel nostro Centro di Ancona da anni abbiamo messo a punto per questo scopo il Metodo “del senso delle emozioni”. Esso consiste nella costruzione di un Percorso Intrapsichico che dalla percezione dell’emozione come dato immediato mediante l’elaborazione Analitica-Creativa permette di significare le emozioni e quindi formulare un progetto da realizzare con una azione consapevole. Il metodo non solo consente di eliminare il disagio, ma offre la possibilità di stabilire l’equilibrio interiore espresso dal vissuto di serenità, con un agire diretto ad una meta adeguata alla realtà.
La società ha la tendenza ad incoraggiare il giovane al consumismo piuttosto che educarlo al consumo. La differenza tra consumo e consumismo è analoga a quella tra uso ed abuso di alcol. Il consumo è manifesto nel comportamento di chi acquista i “beni” a partire dalla definizione del suo bisogno personale ed è collocato nello spazio-tempo della realtà in cui vive. La necessità è la condizione della psiche correlata al comportamento sociale di consumo. Il consumismo è invece la condizione nella quale l’acquisto dei prodotti è determinato da falsi bisogni, da desideri indotti, da stati simboli generati dall’esterno mediante una pubblicità ingannevole per il consumatore, ma funzionale alle vendite. Questo atteggiamento è superficiale e connesso con la vanità della vita. Il disagio del giovane “abusante” di alcol deriva da questi due pilastri: 1) l’incapacità di dare “senso” alle emozioni. 2) Il condizionamento della società ad indurre al comportamento consumistico: il consumo indotto dall’esterno, senza necessità.
Un esempio clinico può illustrare meglio i concetti. Una ragazza di 16 anni si ubriaca per la prima volta in discoteca con i coetanei. Interrogata da me sulle motivazioni del suo agire ha risposto: “Ero arrabbiata con mio padre che non ha voluto comprarmi le scarpe –Armani-, che tutte le mie amiche hanno perché costavano troppo: 300 euro che lui dice di non avere. Per questo mi sono vergognata alla festa: cosa dovevano pensare di me le mie amiche? che ero una povera deficiente!!!” Il caso si commenta da sé e mostra: 1) l’emozione di rabbia; 2) l’incapacità a significarla; 3) la mentalità consumistica.
Una caratteristica importante che si osserva nel fenomeno di abuso di sostanze alcoliche nelle nuove generazioni è quella del craving. Ritengo sia importante conoscerlo per adeguare l’intervento sociale e psicoterapeutico alla personalità dell’“abusante”. Il craving è una condizione psico-biologica che si colloca tra lo stato di sobrietà e quello dello “sballo” dovuto all’ingestione di alcol. Craving è un termine che deriva dall’inglese “to crave” e significa volere (desiderare) intensamente qualcosa. Indica lo stato di desiderio al bere ed all’abuso di bevande alcoliche e costituisce il principale fattore bio-psichico che motiva il comportamento rituale e porta frequentemente alla ricaduta quando si decide di smettere. Il craving alcolico nel giovane di oggi va distinto da quello di altre tossico-dipendenze in quanto non comporta automaticamente l’aumento delle dosi e la dipendenza fisica è poco accentuata. Per esperienza sappiamo che superare l’astinenza biologica dall’alcol non comporta particolari difficoltà; al contrario è la condizione psicologica il vero problema sul quale lavorare, quando è richiesto dal soggetto, perché incontra molte resistenze e perdura a lungo nel tempo. Il desiderio di bere sopravviene anche dopo 20-30 anni che si è smessa l’abitudine. Consideriamo il craving nella sua fenomenologia all’interno di una ciclicità del comportamento dell’abusante di alcol suddivisa nelle seguenti fasi: sobrietà → fase pre-alcolica → fase alcolica → fase post-alcolica.
La sobrietà è lo stato della Persona con assenza di ingestione di alcol; la fase pre-alcolica è dove si colloca il craving.
Durante la fase alcolica, all’inizio, il bevitore sperimenta sotto l’influenza dell’alcol, un particolare senso di “sollievo”, di liberazione dalle angustie quotidiane, le inibizioni si allentano fino a svanire. Il bevitore supera lo stato emozionale del disagio, si sente bene con se stesso, pronto a stabilire rapporti interpersonali soddisfacenti. Gradualmente, però, tende ad oltrepassare questo livello e la sostanza alcolica viene assunta con avidità senza alcun legame con il piacere. Il giovane perde il controllo di sé, raggiunge lo stato di stordimento, un bicchiere tira l’altro e lo sballo è assicurato.
La fase post-alcolica mostra il comportamento dell’abusante che spesso si giustifica perché così fan tutti e nega il pericolo che il bere rappresenta per sé e per gli altri, a volte si sente in colpa e preoccupato per i danni che l’alcol può provocare sull’organismo. La mia attenzione si è focalizzata sul craving poiché attraverso la sua conoscenza possiamo individuare elementi interessanti comuni alla personalità del giovane che possono aiutare a fare “diagnosi” e calibrare l’intervento sia sociale che psicoterapeutico. La personalità viene posta al primo posto nello studio dell’abuso di alcol ed è correlata con altri fattori coadiuvanti: la struttura della famiglia, le condizioni socio-economiche, la professione etc. Tuttavia, i tentativi di definire una personalità specifica per questo problema sono falliti: la tipologia di questi giovani è varia e polimorfa, complessa ed articolata, correlata alla cultura di appartenenza, al ceto sociale ed al condizionamento mediatico.
L’approccio epistemologico classico alla personalità ha seguito delle linee guida che sono ispirate a due principi: 1) Il determinismo causa-effetto secondo il quale un “problema” è prodotto da una eziologia specifica; 2) la separazione del corpo dalla psiche nell’ottica del dualismo cartesiano tra res cogitans e res extensa che ha portato al distacco tra l’io pensante e la percezione somatica. Questo approccio ha prodotto notevoli conoscenze sui problemi dell’uomo, ma, essendo un punto di vista “dall’esterno”, ha tralasciato l’esplorazione della Persona dal “di dentro”, il luogo dove si determina la genesi dell’agire e se ne attiva la motivazione.
Il Centro Psico.din ha formulato una prospettiva che studia la personalità dall’interno. Il craving nell’alcol e nel tabagismo sono state due applicazioni di questo approccio. In questa prospettiva concettuale si considera la Persona come un essere-vivente, un mondo in-sé e per-sé collocato in un mondo-ambiente-simbolico nel quale si relaziona con altri mondi simili a lui, ma non uguali, che si costruisce la personalità dando “senso” alla sua esperienza e diventando così mondo reale-soggettivo-unico-irripetibile. Nel craving si conosce l’essere soggettivo con le sue pulsioni, le emozioni, i sentimenti etc. per quello che veramente è senza interpretazioni, per cui si può cercare la soluzione ad hoc per “quel” disagio.
Il metodo del Centro supera la divisone corpo-psiche, perché considera fin dal primo momento la Persona come Sistema composto da corpo-psiche-cultura, parti che interagiscono e si compenetrano in una circolarità senza fine. L’unità sistematica ha la disposizione biologica all’auto-attivazione ed all’auto-formazione ed è una totalità le cui caratteristiche sono immanenti all’insieme che è più della semplice somma delle parti. Come il “Rasoio” di Ockham liberava la scienza dalle speculazioni metafisiche così i concetti di “sistema”, “unicità” ed “immanenza” liberano lo studioso del disagio giovanile a manifestazione alcolica dalle razionalizzazioni teoriche e dagli apriorismi concettuali.
La persona con lo studio del craving viene conosciuta per mezzo del “sentire” che rivela ed esprime la ricchezza e l’oggettività dell’essere per ciò che è. La “sensazione” è il nucleo rivelatore della personalità che una volta percepita permette di formulare nel Pensiero il significato del sensibile per il tramite del percorso intrapsichico: sensazione → coscienza → elaborazione → pensiero → azione.
La conoscenza dall’interno mediante lo studio del craving offre la possibilità di formulare una diagnosi personalizzata e di ricercare la terapia corretta per quel problema e per quel paziente. Il craving ci riporta il “vissuto” autentico dell’essere del giovane che può venire considerato secondo due momenti: 1) l’emersione spontanea favorita dall’educazione all’atteggiamento del “lasciare accader” e dallo sviluppo della capacità di ascoltarsi nella condizione di attenzione fluttuante; 2) la significazione del vissuto mediante il metodo del “senso delle emozioni” e quello dell’elaborazione creativa.
La significazione del vissuto si realizza mediante tre fasi integrantesi reciprocamente: a) analisi nella quale si separano e si individuano i diversi elementi magmaticamente presenti. b) La elaborazione-comprensione degli elementi mediante i percorsi intrapsichici. c) L’acquisizione-definizione nel concetto della nuova conoscenza derivata dall’esperienza. Il terapeuta che intuisce il “senso” del disagio può diventare la “guida esistenziale” per l’abusante e lo può aiutare a trovare la soluzione al suo disagio a partire dalla sua realtà interna.
La cura diventa così un’occasione di scoperta e di libertà. Il desiderio di bere e dello sballo trovano un “senso” e l’abusante si libera dal rituale e dalla pulsione. Il disorientamento esistenziale si riempie del sentire e della soddisfazione di agire per un fine proprio in quanto l’altro che è fittizio si definisce come estraneo, diverso dal sé, privato delle valenze emozionali che spingono al craving. Il disagio con questa prospettiva non spaventa più, anzi, diventa un’occasione per realizzare la coscienza di sé, il vero fondamento per una vita soddisfacente e degna di essere vissuta.
Bibliografia
Von Bertanlaffy L., Teoria generale dei sistemi, Mondadori, Milano, 2004.
Hall G.S., Lindzey G., Teorie della personalità, Boringhieri, Torino, 1966.
De Rosa M.G.L., Pierini C., Grimaldi C., Alcolismo: analisi del craving, Franco Angeli, Milano, 2005.
Dott. Carmine Grimaldi
Direttore Centro di Psicoterapia Dinamica – Ancona. Docente alla Scuola di Psicoterapia Bionomica di Cagliari.
– Disagio e dipendenza da sostanze
Dr. Adriano Baldoni
Dirigente Dipartimento delle Dipendenze – Asur Marche – Zona Territoriale 7 Ancona
La tossicodipendenza ha una genesi assai profonda.
Nella prima fase l’individuo crede di poter controllare tutto e tutti; nella sua mente prepondera dunque un’idea inesatta: il dominio sulla sostanza ( errore di percezione). Successivamente l’individuo continua ad usare una sostanza nonostante i problemi di tossicità ad essa correlati.
Riprendendo l’OMS, che definisce il disturbo da dipendenza da sostanze come una “malattia cronica recidivante”, il DSM IV ha raccolto e sviluppato queste indicazioni definendo la dipendenza come una “modalità patologica d’uso della sostanza che conduce a menomazione o a disagio clinicamente significativi“.
Condizioni principali per individuazione del disturbo da dipendenza:
Tolleranza
Astinenza
Assunzione frequente
Desiderio persistente o tentativi infruttuosi di riduzione
Interruzione o riduzione di importanti attività sociali
Uso continuativo della sostanza nonostante la consapevolezza di avere un problema persistente o ricorrente, di natura fisica o psicologica, verosimilmente causato o esacerbato dalla sostanza
(devono ricorrere tre – o più – delle condizioni suddette, in un qualunque momento dello stesso periodo di 12 mesi.)
Abuso di sostanze
Sempre secondo il DSM- IV, nel caso in cui i sintomi non abbiano mai soddisfatto i criteri di dipendenza sopra definiti, è possibile comunque individuare una “Modalità patologica d’uso di una sostanza che porta a menomazione, o a disagi clinicamente significativi“, definibile in termini di “abuso di sostanza“.
L’abuso di una sostanza viene collegato alla presenza di una (o più) delle seguenti condizioni, ricorrenti entro un periodo di 12 mesi:
a) Uso ricorrente della sostanza risultante in una incapacità ad adempiere ai principali compiti in ambito lavorativo, scolastico, o domiciliare/familiare (p. es., ripetute assenze o scarse prestazioni lavorative correlate all’uso della sostanza; assenze, sospensioni o espulsioni da scuola correlate all’uso della sostanza; trascuratezza nella cura dei bambini o della casa);
b) Uso ricorrente della sostanza in situazioni fisicamente rischiose (p. es. guidando un’automobile o facendo funzio-nare dei macchinari in uno stato di menomazione per l’uso della sostanza)
c) Ricorrenti problemi legali correlati all’uso della sostanza (p. es. arresti per condotta molesta)
d) Uso continuativo della sostanza nonostante persistenti o ricorrenti problemi sociali o interpersonali causati o esacerbati dagli effetti della sostanza
Perché si fa uso di droga
L’immagine riposrtata accanto spiega come le droghe influenzino il centro delle ricompense del cervello. Tutte le droghe aumentano la dopamina, come del resto fanno il cibo, la musica e l’arte. La dopamina viene rilasciata dai neurotrasmettitori.
Droghe e modificazioni cerebrali
Le droghe provocano modificazioni significative sul cervello e sulle sue attività. Si può parlare di malattia celebrale in quanto le droghe modificano il modalità del suo funzionamento e del suo comportamento celebrale con conseguenze permanenti e significative e con modificazioni comportamentali in senso patologico.
La dipendenza è simile alle altre malattie, come una malattia cardiaca. Entrambe alterano le normali funzioni dell’organo, hanno conseguenze dannose e serie, sono prevenibili, curabili, e se non curate, possono durare tutta la vita. Nel lungo periodo si assiste ad un effettivo peggioramento delle funzionalità dei circuiti neurotrasmettitori.
Il glutammato è un altro neurotrasmettitore che influenza il circuito di ricompensa e l’abilità di apprendimento; quando la concentrazione ottimale di glutammato è alterata dall’abuso di droghe, il cervello tenta di compensarne la mancanza, questo può provocare il danneggiamento della funzione conoscitiva; similmente, l’abuso di droghe a lungo termine può provocare: sistema mnemonico alterato; assuefazione nonché continua ricerca di compensazione dello stato di “benessere indotto”.
Del cervello, la principale area che continua a svilupparsi durante l’adolescenza è la corteccia prefrontale. La corteccia prefrontale è la parte cerebrale che contiene le funzioni di:
Memoria – permanenza a lungo termine delle esperienze
Associazioni dirette
Polarizzazione
L’utilizzo di droghe può alterare e danneggiare il normale sviluppo evolutivo delle funzioni della corteccia prefrontale con conseguenze profonde e durevoli sulla modalità comportamentale dell’individuo.
Dall’uso alla dipendenza
Per passare dall’uso alla dipendenza sono necessari fattori Psicologici, Biologici, Familiari e Sociali, oltre alla disponibilità della sostanza. Quando si incontra la droga, o la si rifiuta (30%) o la si accetta (70%). Se la si accetta, due possono essere gli usi: esplorativo (45%) o problematico (25%). Di questo ultimo il 20% dei soggetti acquisisce una abitudine più o meno controllata, mentre il 5% diventa tossicomane.
L’uso continuativo è una decisione “volontaria”?
La decisione iniziale di assumere delle droghe è quasi sempre volontaria; comunque, quando l’abuso di sostanze diviene continuativo, l’abilità di una persona di esercitare su di sé auto controllo può essere seriamente danneggiato. Studi sul cervello in individui dipendenti da sostanze mostrano cambiamenti fisici evidenti in aree del cervello che interessano la sfera emotiva e decisionale dell’individuo. Con evidente compromissione della capacità decisionale e di controllo del comportamento. Gli scienziati credono che l’interferenza delle sostanze sul cervello alterano con il tempo il suo normale funzionamento, ciò può aiutare a spiegare i comportamenti coercitivi e distruttivi di dipendenza.
Conseguenze delle lesioni della corteccia prefrontale
Esse sono: disinibizione, risposte prepotenti e inadeguate, disturbi della memoria dichiarativa a breve termine e della memoria rappresentativa che categorizza.
Self-medication
Nella ipotesi di Khantzian “gli specifici effetti psicotropi di queste sostanze potrebbero interagire con disturbi mentali e stati di disagio emotivo, in modo tale da renderle compulsivamente necessarie in individui predisposti”. Inoltre, ogni soggetto selezionerebbe autonomamente le diverse sostanze sulla base delle sue individuali carenze e necessità. Rounsaville et al. hanno ottenuto risultati clinici sostanzialmente concordanti con la teoria proposta da Khantzian e, in altri lavori scientifici, da Wurmser. Secondo tali osservazioni cliniche, i tossicodipendenti depressi assumono oppiacei nel tentativo auto-terapico di alleviare uno stato di malessere psichico intollerabile, preesistente all’uso di sostanze.
Tuttavia, nel vissuto psichico della maggior parte degli assuntori di droghe, queste sostanze aiutano a superare gli ostacoli della vita, a migliorare le capacità d’adattamento allo stress soggettivo, ad attenuare il disagio psico-emotivo.
Khantzian, nella formulazione della “self-medication hypothesis”, ha introdotto il concetto di specificità dell’effetto autoterapico, in rapporto da un lato alla struttura di personalità del paziente, dall’altro alle proprietà psico-farmacologiche delle sostanze assunte. In tal senso, alcuni autori hanno integrato nella definizione di temperamento (geneticamente determinato) la specifica reattività d’ogni individuo “…alle circostanze e verso gli altri…ai farmaci e, quindi, anche alle droghe.” In quest’ottica, l’effetto delle droghe d’abuso dipende non solo dalle caratteristiche farmacologiche proprie delle sostanze, ma anche dalla sensibilità e/o reattività individuale, nonché dal contesto socio-ambientale, in cui avviene l’assunzione. La dipendenza da una specifica sostanza non è casuale. La preferenza per una determinata sostanza d’abuso segue, secondo Khantzian, un processo d’auto-selezione.
Gli psicostimolanti compensano, almeno in parte, l’astenia e l’anergia tipica degli stati depressivi. La cocaina aiuta a superare difficoltà nei rapporti sociali, inducendo un tono dell’umore iperattivo e/o ipomaniacale.
L’individuo, che dopo assunzione di cannabinoidi sperimenta disforia, agitazione, sospettosità, confusione e disorientamento, non ripeterà l’assunzione con la stessa frequenza di chi, sotto l’effetto dei cannabinoidi, prova euforia, senso di energia, disinibizione comportamentale e migliorata interazione sociale. Gli effetti soggettivi indotti dalle droghe d’abuso, probabilmente, rispecchiano differenze neuro-biologiche pre-esistenti ed individuali. In uno studio che ha investigato l’insorgere di un quadro paranoico dopo assunzione di cocaina, per esempio, è stato evidenziato che tale disturbo psicopatologico non è prodotto in tutti i soggetti, semplicemente in rapporto al superamento di una certa dose assunta, ma è correlato, anche a prescindere dalla dose, ad una predisposizione alla paranoia cocainica, rispetto alla quale ogni individuo presenta una sensibilità individuale specifica.
Passaggio dal disagio alla dipendenza
Inoltre l’effetto dei diversi f(x) dipende dal tempo, a seconda del periodo di vita vi sono diverse vulnerabilità e diversi tipi di dipendenza; il disagio è frequentemente legato, nella dipendenza, a disagi non sanati nelle generazioni precedenti; Oltretutto la dipendenza non è uguale per tutti in quanto la tipologia di abuso dipende da fattori dell’ospite che, a loro volta sono funzione di altri
f(x), che in parte risultano comuni a quelli che favoriscono lo sviluppo della Dipendenza.
Perché si fa uso di droga (classificazione secondo Cancrini)
L’area delle reazioni (tipo A): rapporto evidente, temporale, fra evento esterno (il trauma psichico) e il manifestarsi delle difficoltà. L’abitudine riguarda i farmaci in grado di aiutare su questa strada, associati spesso all’alcool.
L’area delle nevrosi (tipo B): deriva da difficoltà di tipo nevrotico e si manifesta più frequentemente nella tarda adolescenza e nel giovane adulto. Le limitazioni caratteristiche del carattere nevrotico sono in qualche modo inglobate o nascoste nella tossicodipendenza che continua a dominare il quadro clinico, in forma di rischio o di minaccia di ricaduta, anche quando il paziente non si droga più.
L’area delle situazioni limite (tipo C): si sviluppa in individui con gravi disturbi della personalità, soprattutto di tipo border-line o schizotipico. L’effetto proprio delle droghe (in particolare l’eroina) libera, temporaneamente ma in modo efficace, da ogni situazione di sofferenza e consente una intensa e straordinaria esperienza di libertà interiore legata al recupero di una condizione di benessere totale.
L’area delle sociopatie (tipo D): Sono caratterizzate dal difetto di integrazione sociale determinato da un insieme complesso di fattori fra cui assume particolare importanza la carenza di cure materne in situazioni di svantaggio socio-culturale. si caratterizza sostanzialmente per la tendenza ad esprimere il conflitto attraverso l’acting-out. Ciò corrisponde in pratica all’evidenza di comportamenti antisociali che precedono l’inizio della tossicodipendenza, alla rapida assimilazione della tossicodipendenza all’interno di uno stile di vita che ben si adatta ad essa; all’atteggiamento di sfida del tossicodipendente che si comporta con freddezza di una persona “incapace di amare e di accettare amore“.
Perché si fa uso di droga: (classificazione secondo Cirillo)
Fattori di rischio d’abuso
Essi sono:
Biologici: componente genetica indotta da modificazioni celebrali e/o vulnerabilità dal/all’uso di sostanze.
Ambientali: famiglia, status economico e sociale, qualità della vita.
Sviluppo: combinazione di fattori biologici ed ambientali – modificazione significativa dei processi celebrali.
Segni predittivi di rischio (N.I.D.A.)Il comportamento aggressivo, la mancanza di controllo di se stessi, o di difficile temperamento, talvolta possono essere considerati come segnali; se evidenziati nel comportamento di un bambino.
Durante lo sviluppo del bambino, le interazioni con la famiglia, la scuola, e la comunità, influenzano il suo agire sociale e individuale in maniera determinante.
Situazioni familiari problematiche possono aumentare il rischio che un bambino nelle futura adolescenza faccia uso di droghe; in particolare ciò si esplicita nel momento in cui vi è:
Una mancanza di attaccamento e di sostegno da parte dei genitori o assistenti sanitari;
Una Genitorialità inefficace,
Un Inefficace controllo delle figure di riferimento esterne.
Dinamiche sociali
L’interazione dell’adolescente con coetanei che fanno uso di droga è spesso elemento di rischio. Status sociale, vissuti fallimentari possono incidere a loro volta nello sviluppo di comportamenti tossicomanici. Inoltre altri fattori, quali la disponibilità di droga sul mercato e l’accettazione di errati modelli sociali possono implementare tale fenomeno.
Per contrapposizione viene a diminuire il rischio di abuso da sostanze nei futuri adolescenti che hanno vissuto:
Un forte legame tra figli e genitori;
Coinvolgimento dei genitori nella vita del bambino,
Limiti chiari e coerente applicazione della disciplina e delle regole imposte
Terapie e Trattamento
Il N.I.D.A.(National Institute drug abuse) all’interno dell’osservatorio delle problematiche sulla tossicodipendenza ha tracciato delle linee guida per il trattamento delle tossicodipendenze:
– Nessun singolo trattamento è appropriato per ogni individuo (Specificità dell’approccio terapeutico)
– Applicabilità immediata del trattamento coerente ai bisogni espressi (Il trattamento deve essere rispondente alle molteplici necessità dell’individuo,e non solo alla sostanza di cui fa abuso). – I trattamenti individuali ed i servizi attivati vanno monitorati e variati al variare delle necessità e del percorso individuale della persona
– Il periodo di trattamento deve essere valutato adeguatamente, rimanere in trattamento è una variabile critica per l’efficacia della terapia.
– Utilizzare il counseling e terapie comportamentali
– Utilizzo del trattamento farmacologico è un elemento importante per molti pazienti soprattutto se combinate con trattamenti psicoterapeutici e psicologici
– Il paziente tossicodipendente con disordini mentali deve essere trattato in maniera integrata per entrambe le patologie
– La detossificazione tramite trattamento farmacologico è solo il primo stadio del trattamento delle dipendenze e da sola può intervenire solo in maniera lieve su chi fa uso di droghe per lunghi periodi di tempo.
– Il trattamento non ha bisogno di essere volontario per essere efficace, ma una forte motivazione può facilitare il processo trattamentale
– L’uso di droghe durante il trattamento va continuamente monitorato
– Il Programma trattamentale deve includere esami diagnostici per l’accertamento di malattie quali : HIV/AIDS, epatiti,e tubercolosi in maniera congiunta alla terapia necessaria ad aiutare il paziente a cambiare quei comportamenti che lo possono porre a rischio di infezioni.
Conclusioni
Il “recupero” dalla Dipendenza da Sostanze è un processo possibile ma può essere a lungo termine e spesso richiede molteplici episodi e tipologie di trattamento con competenze plurispecialistiche
La prevenzione, sempre più mirata ai fattori di rischio e ai fattori protettivi e supportata da tecniche validate scientificamente, rappresenta un modello di elezione di intervento, specie se orientata alle fasi precoci dello sviluppo, ai sintomi precursori e al sostegno familiare e sociale.
Atti del Convegno Dal Disagio alle Dipendenze
Ancona, 24 Novembre 2007
Dr. Adriano Baldoni
Dirigente Dipartimento delle Dipendenze – Asur Marche – Zona Territoriale 7 Ancona
– Disagio relazionale e sessualità virtuale
Dr. Walter La Gatta
PORNOGRAFIA
La pornografia è la trattazione o raffigurazione di situazioni erotiche dove la sessualità non rinvia ad altri sensi o significati che non siano la pura e semplice ripetizione di sé stessa. Nella pornografia la sessualità emerge come unico tema, rendendo a sé funzionali, o addirittura annullando, soggettività e mondo circostante. (Fonte: Galimberti, Dizionario di Psicologia).
Il termine ‘cybersex’ riguarda invece tutte le attività di carattere sessuale svolte in Rete e dunque non è esattamente sovrapponibile al vecchio consumo di pornografia. Una volta infatti per accedere al materiale porno occorreva uscire di casa, frequentare locali equivoci, oppure entrare furtivamente in qualche edicola specializzata. Oggi è possibile accedere a questo materiale da casa propria nella più totale anonimato.
STATISTICHE
Per inquadrare il fenomeno, faremo riferimento ad alcune statistiche elaborate dall’INTERNET FILTER REVIEW, organismo che ha prodotto delle statistiche basandosi su dati raccolti da fonti giornalistiche, agenzie di stampa, stampa specializzata ecc, nel periodo 2003-2007. Da questi dati sappiamo che ogni secondo vengono spesi $3,075.64 per la pornografia online; 28.258 utilizzatori di Internet consultano siti pornografici; 372 utilizzatori di Internet digitano parole-chiave relative al sesso sui motori di ricerca; ogni 39 minuti viene creato un nuovo video porno negli USA. L’industria del porno incassa più di Microsoft, Google, Amazon, eBay, Yahoo!, Apple, Netflix ed EarthLink messi insieme.
Questi dati ci forniscono una prima idea dell’immenso business che la pornografia costituisce, non solo su Internet. Altri dati interessanti:Uomini che ammettono di consultare materiale pornografico in rete: 20%Adulti americani che regolarmente visitano siti pornografici in rete : 40 milioniAdulti che ammettono di avere una Internet sexual addiction: 10%Genere sessuale: 28% donne, 72% uominiPersone che riescono a tenere segreta la loro attività di consultazione siti porno 70%Donne che ammettono di visitare siti porno sul luogo di lavoro: 13%
La pornografia, solo su Internet, ha prodotto nel 2005 un guadagno di 2,5 miliardi di dollari, salito nel 2006 a 2,84 miliardi di dollari
Le pagine più cercate in rete sono quelle con le parole chiave (in inglese): sex, sexy, xxx, porn,nude, playboy, sex chat ecc.Attualmente si stima che vi siano più di quattro milioni di siti Internet e 420 milioni di pagine porno.
CYBER SEX E CYBER PORN
Le addiction sessuali sono due e presentano alcune caratteristiche antitetiche: “interattività” nel Cybersex, “passività” nel Cyber-Porn. Nel Cybersex, il computer è un mezzo attraverso il quale la persona interagisce con un’altra e quindi, come sottolineato da Lavenia (*), si crea un sistema “uomo-macchina-uomo”; nella Cyber-Porn Addiction invece, è del tutto assenta l’interattività, perché la persona è sola con lo schermo e con le immagini impresse su di esso, creando un sistema “uomo-macchina”.
(*) Lavenia G., Marcucci M. (2005), “Quando Internet crea dipendenza: Net Addictions”, in: Piave N. A., Iadecola G. “Profili pedagogici e psicopatologici della gruppalità in Rete”, MANNI Ed, Lecce.
CYBERSEX : PERCHE’?
E’ un tentativo di colmare un vuoto interiore, di staccarsi dalla propria realtà, di crearsi un mondo virtuale di emozioni, che in un primo momento si pensa di poter controllare completamente.
L’abitudine ad avere rapporti sessuali con la donna virtuale può produrre anche un calo della libido maschile. Infatti, l’essere bombardati continuamente da stimoli sessuali forti svuota l’erotismo di ogni significato relazionale e lo banalizza. Dice la sociologa Naomi Wolf che “Quando un uomo si trova sempre davanti a donne ‘finte’ pronte a soddisfare qualsiasi desiderio sessuale, col sorriso sulle labbra, finisce per trovare le sue partner reali noiose e insignificanti. Infinitamente meno appetibili fisicamente. Molto meglio allora, gratificarsi con le immagini on line, con le quali tra l’altro non si corre il rischio di fare brutta figura”. Quest’esplosione del porno è dunque responsabile di un complessivo calo del desiderio dell’uomo nei confronti della donna reale. Per citare ancora la Wolf, “per la prima volta nella storia dell’umanità la forza dell’immagine e della suggestione ha soppiantato quella delle donne in carne e ossa ed oggi una donna nuda è soltanto una brutta pornostar”. (Naomi Wolf, New York Times)
CYBERSEX: PER CHI?
Gli uomini, da sempre, sono maggiori consumatori di pornografia rispetto alle donne. Sembra che questo sia dovuto al fatto che l’eccitazione sessuale maschile sia più ‘visiva’. Infatti, sebbene molte ricerche recenti dicano che l’eccitazione visiva riguardi anche il genere femminile, non vi è dubbio che parole, carezze e coccole siano per le donne più eccitanti di un film pornografico. Non a caso, per conquistare una donna si tende a creare atmosfere particolari (luci di candela, penombre, sottofondi musicali ecc.). Evidentemente la visione non è altrettanto importante per l’eccitazione del sesso femminile.
CYBERSEX CON WEB CAM
Gli utenti comprano crediti tramite carta di credito e poi li spendono all’interno del circuito. Le camgirl iscritte sono 4mila, gli utenti totali più di 300mila. Ogni minuto di collegamento costa all’utente 3 euro. La cam-girl incassa il 45%. Chi si avvicina alle videochat per adulti lo fa per diversi motivi: chi per solitudine, chi per passare il pomeriggio, chi per evasione, chi per vivere un’esperienza nuova, chi per abbatter i propri tabù, chi per confrontarsi, chi per parlare semplicemente. Sono persone normalissime, può essere il vicino di casa. (Dati tratti da: Helen, Diario di una webcamgirl -ed.Mursia. Occorre dunque rendersi conto che esiste un mondo virtuale dove giovani “webcamgirl” alcune delle quali studentesse, si mettono in mostra, si raccontano, si filmano in cambio di facili e consistenti guadagni. Niente incontri dal vero, non sono necessari: tutto rimane rigorosamente virtuale.
DISAGIO RELAZIONALE
Il soggetto che consuma sesso on line generalmente teme la relazione fisica, reale, con il/a partner sessuale o, in senso più generale, ha difficoltà nei rapporti affettivi. Crea dunque curiosità e allarme la notizia fornita da David Levy che in questo mese di Novembre 2007, ha pubblicato un libro, “Love + Sex with Robots” che annuncia che entro il 2050 si assisterà ad unioni matrimoniali tra umani e robot. David Levy è un ricercatore d’intelligenza artificiale presso l’Università di Maastricht in Olanda ed ha recentemente dichiarato in un’intervista a livescience.com: “All’inizio potrà sembrare bizzarro. Anni fa anche i matrimoni tra persone di razze differenti e dello stesso sesso erano vietati o venivano visti come un tabù, ma in pochi anni anche queste forme di unioni verranno accettate dalla società”. Il dato è confermato da Henrik Christensen, docente di robotica all’Università di Stoccolma e fondatore di European Robotics Research Network, il quale afferma che: “Esistono già adesso una vasta serie di androidi maschili e femminili identici agli esseri umani. Possono muoversi, parlare ed eccitarsi. Sono stati creati per dare piacere. Entro cinque anni al massimo la gente comincerà a far sesso con i robot”. Mentre noi ci stiamo ancora a chiedere se possono considerarsi lecite le unioni gay, questo è il futuro che si prepara per noi, che scavalcherà la pornografia e diventerà completamente ‘autogestito’, nel senso che non vi sarà più bisogno di un partner umano, né reale, né virtuale.
PORNOGRAFIA E MINORI
Concludo questa relazione con un cenno alla pornografia minorile, che è il problema più grande nel campo più generale della vendita del corpo a scopo di prostituzione. I bambini infatti cominciano col guardare la pornografia adulta su Internet per poi scoprire i siti dove si trovano immagini di ragazzi della loro età. Alcuni di questi giovani consumatori di pornografia online hanno subito abusi sessuali e cercano dunque online immagini che servono a ‘normalizzare’ la loro esperienza.
Proprio nell’età in cui la sessualità sta emergendo, gli adolescenti ed i pre-adolescenti possono infatti cominciare ad avere delle fantasie sessuali ispirate al porno o ad attuare comportamenti sessuali basati sulle immagini viste on line (es. Sesso di gruppo). Le statistiche dell’Internet Filter Review ci dicono infatti che il primo contatto dei ragazzi con la pornografia on line avviene a 11 anni. Il 90% dei ragazzi fra gli 8 ed i 16 anni dichiara di aver visto materiale pornografico online, spesso attraverso link creati con i personaggi dei cartoni come Pokemon o Action Man.
PREVENZIONE
Allo stato attuale, sembra impossibile, tecnicamente, impedire ai ragazzi di vedere la pornografia on line. In Australia ad esempio si sono spesi oltre 100 milioni di dollari per costruire dei filtri capaci di difendere le famiglie dalla pornografia in rete. Si è visto così che i ragazzi più esperti nella tecnologia hanno disattivato immediatamente questi filtri con un piccolo software che si è diffuso più velocemente di un virus informatico. E allora, dal momento che, tecnicamente, sembra impossibile evitare che i ragazzi vengano a contatto con materiale pornografico per via telematica, premesso che nessun intervento può essere più efficace dei consigli di un genitore bene informato sulle attività che svolge in rete un minore, molto può fare anche la scuola, introducendo l’argomento ‘sessualità su Internet’ in specifiche lezioni di educazione sessuale.
Si potrebbe così spiegare che la sessualità adulta è una cosa diversa da quella rappresentata dalla pornografia
ULTIME NOTIZIE: IL PORNO ON LINE È IN CRISI ?
Ad Ottobre del 2005 i siti porno rappresentavano il 16,9% del traffico sul Web americano, oggi essi riguardano solamente l’11,9% della Rete, con un calo del 33%. (Fonte: La Repubblica Nov. 07). Cosa può averlo sostituito? La risposta si trova nel grande successo di Facebook nel pubblico giovanile.
Il sito è nato come una comunità ristretta, riservata agli studenti di università e licei di tutto il mondo. L’amministratore delegato di Facebook è Mark Zuckerberg, 25 anni, che ha fondato il sito nel 2004, quando era studente ad Harvard. Dal luglio 2007 Facebook è cresciuto, al punto di diventare uno tra i dieci siti più visitati al mondo. Lo frequentano giovani che hanno un’età compresa fra i 18 ed i 24 anni.
Chi frequenta questo sito, in questa fascia di età, visita, nella top list indicata in alcune ricerche, al secondo posto i motori di ricerca, poi i servizi di web mail e, solo al quarto posto i siti porno. Concludendo, più che pensare che la pornografia abbia esaurito la sua forza attrattiva sul pubblico, specialmente maschile, si può pensare che abbia cambiato forma di espressione, ad esempio trasferendosi sui cellulari (molti ragazzi oggi consumano e addirittura producono film porno, che poi condividono appunto su siti come Facebook).
Dr. Walter La Gatta
Clinica della Timidezza
– Dall’ansia sociale alla Internet Addiction
Dr. Giuliana Proietti
Dall’ansia sociale alla Internet Addiction
Dr. Giuliana Proietti
psicoterapeuta
Responsabile Scientifico del Sito
www.psicolinea.it
Paure e Fobie
Per iniziare questo percorso che ci porterà a parlare di fobie sociali e comportamenti compulsivi di ritiro nella realtà virtuale, partiamo dalla definizione psicologica di alcuni concetti essenziali, come le paure e le fobie. In senso psicologico, vi sono delle differenze fra il concetto di ‘paura’ e quello di ‘fobia’. La ‘paura’ ha motivazioni reali, oggettive ed in alcune circostanze può provocare una salvifica situazione di allarme fornendo all’individuo la forza fisica per evitare un pericolo. La ‘fobia’ invece è una paura soggettiva, che viene dall’interno e che non ha motivazioni oggettive. Non per questo è meno dolorosa per chi la vive e non per questo le reazioni di allarme che causa all’organismo sono più lievi di quelle di quella che abbiamo definito semplicemente ‘paura’.
Fobie specifiche
Nel DSM IV, il manuale statistico e diagnostico in uso agli psichiatri di tutto il mondo, le fobie sono considerate dei ‘disturbi d’ansia’ ed esse si distinguono in fobie ‘specifiche’ e fobie ‘sociali’. Le fobie specifiche si riferiscono a specifici oggetti o situazioni. Ricordiamo, a titolo di esempio, la paura dei ragni (aracnofobia) oppure quella di volare (aerodromofobia), o quella dei peli (tricofobia). Sono state individuate centinaia di fobie specifiche. Come si è detto, che si tratti di ‘paure’ o di ‘fobie’ il risultato di attivazione che esse producono nell’organismo non cambia, dal momento che entrambe sono capaci di generare ansia. Sintomi tipici di ansia sono: palpitazioni, debolezza, svenimento, aumento della pressione sanguigna, respirazione rapida, respiro affannoso, pressione al torace, senso di soffocamento, incremento dei riflessi, tremore, spasmi muscolari, bocca e gola secche, sudorazione aumentata, momenti di caldo o freddo, prurito
impulso a urinare, rossore del volto o pallore, perdita di appetito, nausea, dolori addominali, bruciore di stomaco, vomito, rigidità. In alcune persone essi si esprimono tutti insieme, mentre in altre se ne possono manifestare solo alcuni.
Dall’ansia fisiologica all’ansia patologica
Lo stato di ansia dunque può essere utile per l’organismo, in quanto riesce a determinare una condizione ottimale per fronteggiare le situazioni di pericolo e di minaccia attraverso comportamenti di attacco o di fuga. L’essere umano conosce i sintomi ansiosi sin dall’inizio della sua avventura sulla terra. Mentre un tempo l’ansia svolgeva un ruolo utile e adattivo per l’essere umano, ad esempio per difendersi dagli animali feroci, oppure per procurarsi del cibo in una lotta impari con animali molto più dotati di armi letali (si pensi ai veleni dei serpenti, agli artigli dei rapaci, alle mascelle di alcuni carnivori), l’uomo contemporaneo spesso non ha più bisogno, per lo stile di vita che conduce, di questo alto livello di attivazione dell’organismo, prodotto da fattori cognitivi e vari stimoli interni ed esterni. L’ansia per questi motivi può diventare patologica.
L’esasperazione delle reazioni di allarme dovuta alle modificazioni fisiologiche del corpo rende l’ansia patologica. Il soggetto che osserva su sé stesso i sintomi d’ansia può facilmente spaventarsene, innescando il meccanismo che porta dalla paura all’ansia e dall’ansia alla paura. Si finisce dunque per avere ‘paura di avere paura’.
Nel caso dell’ansia sociale, le sensazioni fisiche sperimentate sono fragilità, senso di trasparenza del corpo, come se tutti potessero guardare dentro il proprio sé, incapacità di difendersi, carenza di autocontrollo. Si ha la sensazione, spesso errata, di essere osservati e valutati negativamente degli altri, pensieri negativi su sé stessi e sulle proprie prestazioni. Spesso si sopravvalutano gli altri (sentendoli come più potenti, più competenti ecc.), oppure si sopravvalutano le richieste e le difficoltà specifiche delle situazioni sociali.
Timidezza e Fobia sociale
Come c’è una differenza fra ‘paure’ e ‘fobie’, c’è una sostanziale differenza anche fra ‘timidezza’ e ‘fobia sociale’. La timidezza infatti può essere presente in alcuni periodi dell’infanzia ed è comune in adolescenza. Malgrado le inibizioni, il timido perviene spesso ad un adattamento sociale soddisfacente ed inoltre l’ansia del timido non è opprimente e non porta ad evitare gli incontri e le relazioni, come accade invece nelle fobie sociali. Le cause della fobia sociale sono biologiche (ereditarie), psicodinamiche (legate alla vicenda personale del soggetto) e sociologiche (connesse all’ambiente, all’epoca e alla cultura di riferimento) e pertanto sarebbe sbagliato considerarne solo gli aspetti organici. Si valuta che soffrano di fobia sociale dal 5 al 25% delle persone (il dato non è preciso, perché non è semplice stabilire quale è la linea di demarcazione fra timidezza e fobia sociale).
Paure tipiche di chi soffre di fobia sociale
Le paure tipiche di chi soffre di fobia sociale sono: paura di parlare (in pubblico, con estranei, con persone autorevoli, ecc.); usare il telefono, consumare i pasti davanti agli altri, partecipare ad attività sociali (sportive, musicali, teatrali, ecc.), frequentare bagni pubblici, ecc. Le conseguenze di tutto ciò portano il soggetto a sviluppare una particolare sensibilità alle critiche, al rifiuto, alla disapprovazione, alla drastica riduzione delle attività sociali. Si provano anche senso di incompetenza o inadeguatezza, oltre che scarsa stima di sé.
Internet
Come tutti sappiamo Internet è uno strumento utile e capace di offrire all’utente molte opportunità. Su Internet possiamo fare spese, telefonare, raccogliere e condividere testi, immagini, filmati e musica, conoscere nuovi amici, fare ricerche di tutti i tipi, giocare, ecc. Per le persone che hanno problemi nei rapporti sociali però, Internet può offrire particolari opportunità che mancano nella vita reale e diventare per questo uno strumento pericoloso. Esso infatti può offrire l’opportunità di sperimentare una nuova identità, completamente differente da quella reale, di interagire con gli altri in forma anonima, di vivere in un ‘mondo di fantasia’, trovando appoggio sociale, soddisfazione sessuale, riconoscimento e potere. Internet può dunque diventare un rifugio, per evitare di far fronte alle situazioni spiacevoli della vita (es. crisi matrimoniale, problemi sul lavoro, solitudine, ecc.). La sua pericolosità nei confronti delle persone che soffrono di fobie sociali sta nella preferenza che si può arrivare a provare per la vita virtuale, a scapito di quella reale. Se ad esempio una persona nella vita non ha successo personale né lavorativo, non ha amici e non è soddisfatta di sé, mentre nel mondo virtuale vive una situazione esattamente contraria, può accadere che il soggetto, paradossalmente, si senta più gratificato dalla sua vita sul Web che dal suo ambiente reale.
Internet Addiction Disorder
Precisiamo anzitutto che, quando si parla di Internet Addiction, ci si riferisce all’uso di Internet ma anche al semplice uso del Computer, senza far riferimento ad una particolare attività.
La dipendenza da Internet è una dipendenza comportamentale, non chimica: una ‘dipendenza senza droga’. Non è certamente lo strumento Internet a generare la dipendenza in chi lo usa, ma ormai è risaputo che questo strumento, usato da persone che hanno già dei problemi psicologici e sociali, può portare ad una dipendenza patologica. In questo senso vi è anzitutto un indebolimento del legame autentico con la realtà. Non meno importante è la manifestazione di problemi relativi alla salute fisica e alla vita sociale del soggetto, nonostante i quali la persona non riesce a cessare le sue attività in rete. Chi soffre di fobia sociale può trovare in Internet una ‘cura’ capace di alleviare i suoi disturbi: si entra così in un circolo vizioso di fuga dalla realtà, per rifugiarsi in un mondo virtuale che appare maggiormente soddisfacente. I comportamenti dovuti alla dipendenza cominciano così ad interferire significativamente con le abitudini della vita normale, anche se gli effetti fisici e psicologici subiti non vengono considerati così devastanti come quelli ‘chimici’ e questo può portare a sottovalutare il problema.
Cosa si cerca su Internet?
Dagli studi compiuti in proposito si evince che sul web si frequentano anzitutto siti di giochi e chat oltre che siti pornografici (Morahan-Martin e Schumacher, 2000; Chou and Hsiao, 2000; Chak and Leung, 2004; Leung, 2004; Simkova e Cincera, 2004; Meerkerk et al., 2006).
I soggetti particolarmente interessati all’uso di Internet, secondo alcuni studi, sono generalmente: Isolati (Nalwa and Anand, 2003; Nichols and Nicki, 2004), Depressi (Kim et al., 2006), Timidi e Pessimisti (Chak and Leung, 2004),Privi di autostima (Niemz et al., 2005).
Kimberly Young, una psicologa che ha compiuto ricerche pionieristiche su questa dipendenza, ha da tempo individuato cinque specifiche dipendenze da Internet: relazioni virtuali (coinvolgimento affettivo verso persone conosciute online a scapito dei rapporti con familiari e amici, portando ad instabilità coniugale familiare); giochi virtuali (gioco d’azzardo patologico, videogames, giochi al computer come Solitario e campo minato), sesso virtuale (scaricamento, utilizzo, commercio di materiale pornografico online, chat erotiche ecc.) , ricerca ossessiva di informazioni (ricerca e organizzazione ossessiva di dati dal Web, senza riuscire più neanche a comprenderne l’utilità) ed infine la ricerca ossessiva di notizie relative al lavoro che si svolge nella vita reale.
Recentemente a queste cinque dipendenze la Young ne ha aggiunta una sesta (la dipendenza da e bay: persone che passano giornate intere comprando e vendendo su e-bay)
Va detto che le attività svolte in rete non si trovano solo su Internet, ma in rete esse sono facilitate dall’anonimato e dalla semplicità con cui è possibile praticarle, senza uscire di casa e senza sottoporsi al giudizio altrui.
I giochi di ruolo online
Altro discorso va fatto per i MMORGs (come ad esempio World of Warcraft EverQuest, Doom 3, ecc.), giochi con milioni di sottoscrittori in tutto il mondo. In questi giochi virtuali, il giocatore può decidere le caratteristiche fisiche e comportamentali del suo personaggio (avatar), i luoghi che visiterà, gli altri personaggi che incontrerà e molto altro ancora. Il nome è un acronimo di Massive Multiplayers Online Role Game: in pratica sono giochi di ruolo, on line, con molti giocatori con i quali si può interagire e con contatti provenienti da tutte le parti del mondo, contemporaneamente. Sintomi di addiction nei bambini che si dedicano a questi giochi sono generalmente considerati i seguenti: gioca più di 3 ore al giorno, anche di continuo; vive momenti di grande euforia durante il gioco; è di cattivo umore quando non è possibile giocare; abbandona le attività sociali e sportive; è negligente nel fare i compiti, é incapace di diminuire il tempo da dedicare al gioco; dice bugie ed escogita sotterfugi per poter giocare indisturbato.
Primi studi e relative conclusioni discordanti
•1998 Alcuni studi hanno messo in luce la correlazione aumento di solitudine e depressione e tempo trascorso online (Kraut et al.);
•2001 Successivi studi sono arrivati a conclusioni opposte (Howard et al., Moody, Wastlund et al.)
•2002 Il follow-up dello studio originario di Kraut del ‘98 ha scoperto che gli effetti negativi riscontrati non erano più presenti e che anzi, l’uso di Internet aveva prodotto ottimi effetti sulla comunicazione, sui rapporti sociali e sul benessere personale (Kraut et al).
•2003 Un altro studio ha scoperto che gli estroversi si mostrano più interessati a Internet degli introversi. Internet ‘amplifica’ le predisposizioni naturali così che gli estroversi socializzano meglio, mentre gli introversi si isolano ancor di più. (Joinson).
Come si vede, sin dall’inizio vi sono state delle difficoltà ad individuare correttamente il disturbo e perfino ad arrivare a delle conclusioni univoche.
Classificazione
La Internet addiction, al momento, non è compresa nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM IV). Attualmente viene considerata un disturbo ossessivo-compulsivo (OCD, come ad esempio il lavarsi spesso le mani), oppure una Dipendenza Comportamentale (es. Gioco patologico), o ancora, una Trance Dissociativa da video-terminale (che mina il contatto con la realtà e genera un’esplosione del senso di onnipotenza, dovuta all’assenza di limiti anagrafici, geografici, contestuali. L’identificazione totale con un ”eroe virtuale” porterebbe soggetti già disturbati a perdere il controllo nella vita reale.)
Questa addiction è stata però riconosciuta come ‘disturbo’ dalla American Psychological Association (APA), mentre l’AMA, American Medical Association, ha espresso parere contrario (giu 07) dichiarando di non considerarla un vero disturbo mentale, da inserire nel DSM.
In realtà ci sono forti pressioni perché essa entri nel prossimo DSM V, in quanto questo aprirebbe le porte al rimborso da parte delle compagnie di assicurazione statunitensi (e si aprirebbe un ‘business’ immenso, in quanto si prevede che questa patologia colpirà sempre più persone nel mondo).
Sintomi Fisici
Si calcola che un grande utilizzatore di Internet possa trascorsore in Rete da 40 ad 80 ore, con sessioni singole che possono durare anche 20 ore. Conseguenze:
-Dolori dorsali e cervicali
-Palpitazioni
-Disturbi del sonno,
-Disordini alimentari, salto dei pasti
– Ricorrenti mal di testa
– Negligenza nell’igiene del corpo, vita troppo sedentaria
– Sindrome del tunnel carpale (dolore caratteristico fra mano e avambraccio)
– Senso di affaticamento generale, in particolare agli occhi
Sintomi Psicologici
– Sensazioni di benessere ed euforia quando si è su Internet;
– Incapacità di sospendere l’attività;
– Bisogno di dedicare sempre più tempo a questa attività;
– Negligenza: mancanza di tempo dedicato a scuola e lavoro;- Depressione, apatia e irritabilità quando non è possibile connettersi;- Mancanza di relazioni sociali e attività esterne.
– Assunzione di rischi non abituali, tradimento dei propri valori grazie all’opportunità di rimanere anonimi;
– Rifiuto di ascoltare i consigli o i rimproveri degli altri
– Nostalgia per le attività svolte in Rete mentre si stanno facendo altre cose
– Rifugio per i momenti di disagio, irritazione, tristezza
Internet Addiction: negazione del problema
Il soggetto colpito da internet addiction nega di essere diventato dipendente. Spesso nasconde o minimizza con gli altri la vera quantità di tempo trascorsa su Internet o le attività che vi ha svolto.
Diagnosi
La Young (1996) ha stabilito dei criteri per individuare un “comportamento dipendente da Internet” prendendo come modello i criteri del gioco patologico presenti nel DSM-IV. Chiaramente non si tratta di una vera diagnosi psichiatrica, né la scala utilizzata possiede validità psicometrica. Nel tempo la Young ha elaborato molti altri test e strumenti di valutazione, che possono essere trovati nel suo sito http://www.netaddiction.com/.
Un’altra pioniera della ricerca sulla Internet Addiction è la Dr.ssa Maressa Hecht-Orzack del McLean Hospital di Belmont, Massachusetts, che ha fondato nel 1996 il Computer/Internet Addiction Service, mentre ‘tutti pensavano che fosse pazza’. (http://www.computeraddiction.com)
Problemi sul Lavoro
Ultimamente fra i giovani si sono diffusi dei siti definiti ‘social networking’ nei quali si conoscono molte persone, ci si scambia immagini e video, si chatta ecc. Il problema dei Social Networking (es. Facebook, MySpace e Bebo) sui luoghi di lavoro è abbastanza recente ed è un fenomeno crescente. Le persone che hanno una addiction da Internet infatti non resistono, davanti al computer dell’ufficio, a collegarsi ai siti preferiti ed a trascorrere il tempo conversando con gli amici virtuali. In Gran Bretagna negli ultimi tre anni almeno 1.722 impiegati pubblici hanno avuto problemi con Internet. Di loro: 132 sono stati licenziati, 41 hanno dovuto dare le dimissioni, 868 hanno ricevuto sanzioni formali 686 hanno ricevuto altre forme di rimprovero o sanzioni (es. riduzione dello stipendio o del livello raggiunto). Questo comportamento in effetti produce una perdita di produttività pari a 130 milioni di sterline al giorno. Altri usi non consentiti del web sul posto di lavoro riguardano la visione di materiale ‘improprio’, come la pornografia. (Fonte: Freedom of Information Act -The Guardian Nov. 07 )
Problemi di Relazione
Gradualmente i soggetti trascorrono sempre maggiore tempo in modo solitario davanti al computer, rinunciando all’interazione con gli altri membri della famiglia. Gli ‘addicted’ sono talmente assorbiti dall’utilizzo di Internet che rinunciano, più o meno consapevolmente, all’adempimento dei compiti quotidiani. Ad esempio possono dimenticare di andare a prendere i figli a scuola, di preparare loro il pranzo ecc.
Aspetti demografici
Mettiamo a confronto due studi, uno del 1999 e uno del 2006.
•1999 Studio su 18.000 utilizzatori di Internet : il 5,7 per cento del campione presentava comportamenti “compulsivi” nell’uso di Internet. (Center for Internet Studies)
•2006 Studio basato su interviste telefoniche di 2513 adulti. La dipendenza da Internet sembra diffusa in gruppi di ogni età, classe sociale, gruppo etnico, livello sociale e culturale, genere sessuale e riguarda il 10% degli utilizzatori di Internet. (Elias Aboujaoude, Stanford University, International Journal of Neuropsychiatric Medicine, Oct 06 )
Come si vede, il numero delle persone ‘dipendenti da Internet’ è in pochi anni raddoppiato. Secondo lo studio di Aboujaoude il tipico individuo è single, colto, bianco, maschio, trentenne; trascorre circa 30 ore alla settimana a svolgere attività non essenziali al PC.
La Terapia
La terapia più indicata appare al momento la terapia cognitivo-comportamentale, che si basa su interventi pratici, quali il cambiare le abitudini del paziente, lo stabilire degli obiettivi, chiari e raggiungibili, la richiesta di astensione dal tipo di applicazione che lo coinvolge di più, la ricerca di attività alternative e di nuove relazioni sociali nella vita reale. La terapia familiare può essere altresì necessaria per aiutare il paziente e recuperare le situazioni familiari compromesse, informare la famiglia sulla dipendenza, sollecitare maggiore comprensione, migliorare le situazioni che hanno spinto la persona a cercare una soluzione in Internet.
Prognosi
Se il problema non viene trattato la persona può sperimentare un crescente senso di stress che in alcuni casi (è già successo) può portare fino alla morte. I trattamenti psicoterapeutici si sono mostrati efficaci per la soluzione del problema.
Prevenzione
A livello di prevenzione occorre individuare le situazioni al loro primo manifestarsi ed evitare che persone con disturbi di ansia sociale, specialmente bambini e adolescenti, trascorrano troppo tempo davanti al PC. Utile potrà essere la richiesta di frequentare anche attività esterne, come sport, corsi, associazioni ecc.
Quale sarà il futuro della Internet Addiction ?
Forse la I.A.D. verrà riconosciuta come dipendenza patologica ed entrerà a pieno titolo nel DSM V, oppure non verrà riconosciuta come una nuova dipendenza, ma semplicemente come supporto tecnologico estensivo per altre dipendenze (gioco d’azzardo, shopping compulsivo, sex addiction) o altri disturbi psicologici (depressione o disturbo ossessivo-compulsivo).
Il caso della Corea del Sud
Voglio però concludere con alcune considerazioni relativa all’attualità, parlandovi del caso della Corea del Sud e della Jump Up Internet Rescue School. Il 90% delle famiglie sudcoreane ha la connessione a banda larga e pertanto molte persone trascorrono ore ed ore davanti al PC. La I.A.D. è dunque molto diffusa in quel Paese e vi sono stati anche dei decessi (dopo ore e ore passate ininterrottamente davanti al computer). Il Governo della Corea del Sud sostiene che il 30% degli adolescenti (sotto i 18 anni) è a rischio dipendenza.
Per questo ha istituito, nel 2007, 140 specifici consultori negli ospedali ed ha predisposto un ‘campeggio’, qualcosa di mezzo tra la caserma militare e una clinica riabilitativa. Lì i ragazzi devono imparare a vivere senza Internet, sostituito da attivita’ di gruppo, sport, corsi di ceramica. Per diagnosticare una Internet dipendenza bastano ora, nella Corea del Sud, una media di due ore al giorno trascorse davanti al PC.
Verso la Terapia Google
Concludendo, Internet non va demonizzato perché è forse uno degli strumenti più utili ed interessanti dei nostri tempi. Ciò che deve essere prevenuto e curato è il comportamento dipendente, la fuga nel virtuale come negazione della realtà e ricerca di compensazioni e gratificazioni in un mondo in cui si può essere chiunque, parlare con chiunque, amare ed essere amati da chiunque, senza mettersi in gioco realmente. Noi medici e psicologi dobbiamo prendere coscienza del fatto che i nostri pazienti, prima di arrivare da noi, hanno già cercato le informazioni sulle loro patologie in Internet e su Google hanno trovato non solo informazioni, ma anche possibili terapie, oltre che persone che hanno gli stessi problemi, con le quali si sono scambiate indirizzi, nomi di medicinali, indirizzi web, ecc.
Perché Google non si sostituisca completamente al terapeuta è opportuno che gli psicologi ed i medici comincino ad operare anche su Internet, rappresentando una ‘cura’ non autogestita, ma organizzata e basata su criteri scientifici. Molti programmi di terapie a distanza sono oggi presenti nel Web ed alcune sono di particolare valore (ad esempio http://www.shyness.tv/) perché appositamente costruite per il Web. In Italia, per quanto riguarda la Internet Addiction ed il sostegno a chi soffre di fobie sociali vi sono molte iniziative.
Permettete dunque che io concluda questa relazione con una citazione: https://www.clinicadellatimidezza.it/.
Dr. Giuliana Proietti
Info in Breve su Dr. Giuliana Proietti
Convegno Ancona 24 Novembre 2007
Dal Disagio alle Dipendenze
organizzato da Airt (Associazione Italiana Ricerca su Timidezza e Fobie Sociali) e Cis (Centro Italiano di sessuologia)
A cura della Redazione del sito
Clinica della Timidezza
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Il Sito www.clinicadellatimidezza è un sito di psicologia, online dal 2002, e si occupa di timidezza, ansia e fobie sociali.
Fondatori e Curatori i Terapeuti:
Dr. Walter La Gatta
Dr. Giuliana Proietti
ANCONA FABRIANO CIVITANOVA MARCHE TERNI E ONLINE