Quando il selfie è patologico
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Ormai sono veramente poche le persone che non conoscono la parola di origine inglese “selfie”, cioè l’autoritratto fotografico ottenuto attraverso una webcam o uno smartphone. La parola, oltre tutto, dall’anno scorso è entrata ufficialmente nel vocabolario Zingarelli ed è stata considerata “parola dell’anno”.
Le immagini “selfies” vengono prodotte tenendo il telefonino a braccio teso e, quando il braccio non basta, si può usare l’ausilio di uno specchio, di un treppiedi o di un’asta telescopica porta-telefono per allungare il braccio, emulando il supereroe italiano del secolo scorso, Tiramolla.
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Tutte (o quasi) le persone che hanno un telefonino con camera frontale incorporata si sono sottoposte una volta o l’altra a questo rituale, spesso inondando poi le pagine dei propri social con queste immagini, personali e di gruppo, rigorosamente auto-prodotte. Un grande appassionato del genere è il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il quale però non sempre viene apprezzato per questo suo hobby.
Mentre uno dei più apprezzati auto-ritrattisti italiani – visto il successo che sta riscontrando su Facebook – è Gianni Morandi, il quale però non sembrerebbe postare le sue foto per narcisismo, quanto per condividere una raggiunta serenità, personale e familiare, insieme ai suoi fans.
Il problema delle persone eccessivamente appassionate alla pratica del selfie infatti è proprio il narcisismo, talvolta spinto, talvolta patologico, che può portare a cercare gratificazioni nel ritrarsi e nel diffondere le proprie immagini, piuttosto che nel frequentare altre persone.
Se ne cominciò a parlare già nel giugno dello scorso anno, quando lo psichiatra britannico David Veal dichiarò alla stampa che due su tre dei pazienti che curava per dismorfofobia (fobia che nasce da una visione distorta che si ha del proprio corpo), avevano la compulsione a riprendersi continuamente con il proprio smartphone ed a postare le proprie foto sui media. In questo senso, più si ha un immagine negativa di sé, più si tende ad osservarsi, a fotografarsi e a diffondere le immagini in cui ci si sente migliori, con comportamenti ossessivo-compulsivi.
Ora, uno studio appena pubblicato, condotto da Jesse Fox, una giovane assistente di comunicazione presso la Ohio State University, sembra dimostrare che gli uomini che pubblicano molti selfies sui social ottengano punteggi più elevati sia sulla scala del narcisismo sia su quella della psicopatia. I partecipanti allo studio, 800 uomini di età compresa tra 18 e 40 anni, dovevano completare un test online rispondendo a domande riguardanti il proprio comportamento su selfies e social media. Essi sono stati poi invitati a compilare un questionario per valutare i comportamenti antisociali e di auto-oggettivazione. (Le donne non sono state studiate in questa specifica ricerca, anche se si ritiene ottengano gli stessi risultati degli uomini).
La scoperta potrebbe apparire banale (c’era bisogno di fare una ricerca per capire che chi si fotografa continuamente è troppo centrato su se stesso?) ma, secondo me, è importante che tutte le intuizioni possano essere comprovate con metodo scientifico; inoltre le associazioni che questo studio propone tra narcisismo e psicopatia sono molto interessanti.
In psicologia il termine “narcisismo” può indicare il normale amore per se stessi, ma anche un eccessivo egocentrismo, causato da un disturbo di personalità. Il narcisista, infatti, mostra una particolare concentrazione su se stesso, non si impegna a mantenere relazioni soddisfacenti, ha difficoltà empatiche e tiene particolarmente in conto i suoi adulatori, disprezzando coloro che non mostrano particolare apprezzamento nei suoi riguardi. Negli ultimi anni, peraltro, si è parlato spesso di “narcisismo digitale”, intendendo uno smodato culto per la propria immagine e personalità, che viene espresso attraverso la creazione di prodotti auto-referenziali diffusi attraverso i social media.
Gli psicopatici mostrano molti tratti in comune con i narcisisti in quanto sono degli anti-sociali per eccellenza, dato il loro patologico egocentrismo, l’incapacità di provare emozioni positive verso gli altri, l’assenza di rimorsi e sensi di colpa per le loro azioni, l’assenza di empatia, l’impulsività, l’irresponsabilità, la predisposizione a comportamenti socialmente devianti.
Interessante notare che, secondo lo studio, coloro che migliorano la propria foto (con filtri, photoshop, ecc.) prima di postarla, sono molto più narcisi degli altri, ma meno affetti dal disturbo della psicopatia: lo psicopatico infatti, per sua natura, è impulsivo e poco interessato agli altri, e dunque non è capace di concentrarsi su qualcosa che possa servire a farlo apparire migliore.
Quanto all’auto-oggettivazione, cioè a fare di sé stessi un oggetto sessuale, dando prevalenza alle proprie forme estetiche piuttosto che agli altri tratti positivi che si possono avere (intelligenza, cultura, sensibilità, ecc.), questo fenomeno è stato largamente studiato fra le donne e gli omosessuali, ma è ancora considerato piuttosto raro fra gli uomini eterosessuali (erroneamente, come dimostra questa ricerca).
Poiché l’auto-oggettivazione può portare a depressione e disturbi alimentari, le ricercatrici lanciano un segnale d’allarme per il crescente utilizzo dei social network, i quali possono spingere anche gli uomini a prestare eccessiva attenzione alla propria immagine. Oltre tutto, quando le foto postate ottengono numerosi “mi piace” da parte della propria cerchia di conoscenti, si può essere spinti a postare sempre nuove foto, sempre più ricercate, aspettando con ansia il responso degli “amici”, attivando così, inconsapevolmente, il pericoloso circolo vizioso che porta all’ansia e alla depressione.
In conclusione, non tutti gli uomini che postano dei selfies meritano, di default, l’appellativo di narcisi o psicopatici: resta comunque il fatto che essi potrebbero avere caratteristiche antisociali superiori alla media. Praemonitus, praemunitus…
Giuliana Proietti
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Post pubblicato anche su Huffington Post
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