L’ansia è in aumento?
Secondo l’Anxiety and Depression Association of America (ADAA), i disturbi d’ansia sono ormai il disturbo mentale più comune e pervasivo negli Stati Uniti. L’ADAA considera “disturbi d’ansia” i disturbi psichici specifici che comportano stati di estrema paura o preoccupazione. In termini numerici, sembra che 42 milioni di americani ne siano afflitti, ovvero il 40% degli adulti americani soffre ormai di disturbi d’ansia in alcuni momenti della propria vita.
Un recente studio pubblicato dal Center for Diseases Control, indica che esiste una correlazione tra disturbo d’ansia, depressione e tassi di suicidio (negli Stati Uniti il tasso di suicidi è aumentato di circa il 30 percento dal 1999). Sebbene gli Stati Uniti sembrino avere la più ampia percentuale di individui con disturbi d’ansia, il problema sicuramente non è solo americano. Secondo uno studio del 2017 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, a livello mondiale oltre 300 milioni di persone soffrono di depressione e 260 milioni soffrono di disturbi d’ansia, molti dei quali vivono con entrambe le patologie.
Una riflessione va fatta sulle parole “depressione” e “ansia”: esse potrebbero significare concetti diversi in tempi diversi. L’ansia dei nostri tempi è chiaramente legata allo stile di vita: l’attenzione al denaro, alla fama, alla propria immagine corporea è sicuramente molto aumentata, causando nei giovani una maggiore possibilità di sentirsi ansiosi o depressi.
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Ben diverso era, ad esempio, il concetto di “ansia” espresso da Kierkegaard, il quale nel suo “Il concetto dell’angoscia” (1844) parlava dell’ansia come della “vertigine” che scaturisce dalla possibilità di essere liberi. L’uomo, secondo il filosofo, sapendo di poter scegliere, sa di avere di fronte a sé la possibilità di scegliere qualsiasi cosa, ma questa possibilità infinita di scelta, nella sua indeterminatezza, rende di fatto impossibili le scelte. L’angoscia dunque era una sorta di condizione naturale dell’essere umano e riguardava anzitutto il rapporto di ciascuno con il proprio sé: tutto mi è possibile, ma ignoro cosa produrranno le mie scelte. Per Kierkegaard la cura per questa angoscia esistenziale era la fede, in quanto capace di andare al di là di ogni tentativo di comprensione razionale, portando l’individuo ad accettare anche ciò che al vaglio della ragione o della critica potrebbe apparire assurdo. dell
Oggi la religione ha sempre meno importanza nelle nostre vite ed abbiamo abitudini completamente diverse da quelle che poteva rilevare Kierkegaard dal suo osservatorio: ad esempio, non esistevano i social, le persone non avevano la grande dipendenza che abbiamo oggi da questi strumenti tecnologici.
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Per dimostrare questo, Timothy Wilson e il suo team hanno progettato un test con il quale hanno sondato i comportamenti di centinaia di studenti dell’Università della Virginia. Agli studenti veniva chiesto di mettere da parte i loro telefoni cellulari e di rimanere da soli in una sala di laboratorio per 15 minuti, senza alcuna distrazione. L’unica possibilità che avevano per passare diversamente il tempo era quella di infliggersi un lieve elettroshock se sentivano il bisogno di una “distrazione” esterna. Il 67% degli uomini e il 25% delle donne hanno scelto di infliggersi il leggero elettroshock piuttosto che rimanere soli con se stessi, senza stimoli esterni. I social media hanno il potere di distrarci da noi stessi, di perdere il senso del tempo e dello spazio fisico.
Un altro fenomeno dei nostri tempi è la paura di perdersi qualcosa , o “Fear of Missing Out” (FoMO), uno dei sintomi evidenti della dipendenza dai social media. La FoMO è descritta come “un’ansia sociale, caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con ciò che gli altri stanno facendo”. L’impossibilità di farlo influisce sul tono dell’umore delle persone.
Si potrebbe sostenere che “l’ansia di FoMO” è sempre esistita, specialmente fra i giovani, anche se in passato si esprimeva necessariamente in altri modi, visto che non c’era la tecnologia dei nostri tempi. Questo è sicuramente vero, ma i social media sicuramente esasperano sia il bisogno di connessione con gli altri, sia la paura del giudizio e delle critiche altrui.
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Il recente rapporto “Social Media and Young people’s Mental Health and Wellbeing” della Royal Society for Public Health del Regno Unito, segnala chiaramente che:
- Il 91 per cento dei giovani di 16-24 anni utilizza internet per i social network
- I social media vengono descritti come più avvincenti delle sigarette
- I tassi di ansia e depressione nei giovani sono aumentati del 70% negli ultimi 25 anni
- L’uso dei social media è legato a un aumento dei tassi di ansia, depressione e disturbi del sonno
In un recente articolo (Increases in Depressive Symptoms, Suicide-Related Outcomes, and Suicide Rates Among U.S. Adolescents After 2010 and Links to Increased New Media Screen Time) che fa riferimento a due studi sugli adolescenti americani e che mette a confronto i tassi di suicidio dei giovani a partire dal 2010 (cioè a partire dal boom dei social) si vede chiaramente che i ragazzi fra i 13 e i 18 anni sono maggiormente depressi. Dal 2010 al 2015 sono anche molto aumentati i tassi di suicidio. Secondo questo articolo gli adolescenti che trascorrono più tempo sui new media hanno maggiori disturbi mentali rispetto ai ragazzi che limitano il contatto con i social e fanno vita sociale più attiva.
L’articolo conclude : “I problemi di salute mentale degli adolescenti sono aumentati bruscamente dal 2010, specialmente tra le donne. I nuovi tempi di visualizzazione dei media sono entrambi associati a problemi di salute mentale e sono aumentati in questo periodo di tempo. Quindi, sembra probabile che l’aumento concomitante del tempo trascorso sui social e la depressione e il maggior tasso di suicidio fra gli adolescenti non siano una coincidenza “.
Il nuovo stile di vita sta dunque aumentando i livelli di ansia vissuti dalle persone: il mondo oggi è un luogo molto più insicuro e temibile rispetto al passato. Queste percezioni sono dovute non solo alla tecnologia, ma anche alla recessione economica e alla mancanza di opportunità che essa comporta: questo stato di cose fa aumentare ansia, stress e depressione.
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