La liberalizzazione delle droghe leggere

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Barack Obama ha recentemente concesso un’intervista al New Yorker, nella quale, fra l’altro, parla anche delle droghe leggere e delle normative sul consumo ricreativo di marijuana da poco introdotte negli Stati di Washington e del Colorado. Obama ritiene che fumare cannabis non sia più dannoso che bere alcolici anche se, nell’un caso e nell’altro, per lui si tratta sempre di una “cattiva idea”.

Nell’articolo, il presidente degli Stati Uniti ricorda anche la sua esperienza personale con la marijuana: “come è stato ampiamente documentato, anch’io ho fumato un po’ da ragazzo e considero questa cosa come una cattiva abitudine ed un vizio, non molto diverso dalle sigarette, che ho fumato da giovane e in gran parte della mia vita adulta. Non ritengo sia più pericolosa dell’alcol”.

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A suo parere inoltre, l’uso di queste sostanze non dovrebbe essere incoraggiato, perché si tratta di un passatempo inutile, oltre che dannoso, ma ciò di cui Obama sembra maggiormente preoccuparsi è la sproporzione della pena applicata al consumo di droga leggera fra la popolazione benestante e quella più povera (leggi afro-americani e latinos):“I ragazzi borghesi non vengono arrestati se fumano erba, mentre i poveri sì”.

Sta di fatto che, al di là del caso americano, sono diversi i Paesi del mondo nei quali le droghe leggere sono ormai legali, mentre in altri Stati se ne sta seriamente discutendo e questo suscita naturalmente qualche curiosità: come mai questo improvviso cambiamento di rotta? Quali sono le novità?

Per quanto riguarda la dannosità sull’organismo delle droghe leggere non è stata ancora scritta una parola definitiva: diversi studi e meta-analisi di studi condotti sull’argomento sembrerebbero infatti concludere che non vi siano danni permanenti sull’organismo, a parte un “problema di memoria e di apprendimento piuttosto limitato” in chi ne fa un uso frequente e prolungato.

Ci sono tuttavia altre voci ed altri studi che vanno in direzione completamente opposta: in Italia, quello che è considerato uno dei massimi esperti in materia di farmacologia, il direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche del Mario Negri di Milano, Silvio Garattini, considera ad esempio la marijuana un “prodotto nocivo” in quanto “a causa dei metodi con cui viene fumata ha un alto potere cancerogeno, superiore anche a quello delle sigarette. Negli ultimi anni poi è aumentata moltissimo la quantità di principio attivo contenuta nelle preparazioni, che hanno quindi un effetto sul sistema nervoso superiore a quanto si ritiene normalmente“.

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Vanno poi considerati i problemi psicologici che molti paventano: dalla possibilità di passare dalle droghe leggere a quelle pesanti, alla maggiore incidenza di disturbi psichiatrici. Anche su questo non è facile prendere una posizione netta, in quanto si tratta in larga misura di fattori individuali, non sempre generalizzabili. Quanto ai disturbi psichiatrici dei consumatori di marijuana ad esempio, non si è ancora del tutto capito se questi siano la causa o la conseguenza del consumo di sostanze psicoattive: è possibile infatti che persone con gravi problemi psichici usino queste droghe come forma di auto-medicazione.

Il consumatore di cannabis tuttavia non mette a rischio solamente la sua salute psicofisica: seppure non perda mai completamente la conoscenza, la cronaca è piena di episodi di persone, non necessariamente giovani che, sotto l’effetto di questa droga, arrivano a prendere decisioni o attuare comportamenti potenzialmente pericolosi per sé stessi e per gli altri.

Ne sono esempio gli attacchi di sonnolenza o l’eccesso di allegria (cosiddetta “ridarella”), così come i deficit di attenzione e di concentrazione, capaci di provocare gravi incidenti, sul luogo di lavoro come nelle strade. A questo inconfutabile dato di realtà, i sostenitori della liberalizzazione delle droghe leggere oppongono il fatto che tali stati alterati della mente possono essere causati anche dal consumo di altre sostanze considerate legali (ad esempio l’alcol, il fumo di sigarette, gli psicofarmaci e perfino la colla). La contraddizione insita in queste norme appare in effetti abbastanza consistente.


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In Italia, secondo i dati dell’ultimo rapporto Espad (European School Survey on Alchool and Other Drugs) il 22% dei ragazzi fra i 15 ed i 19 anni ha provato almeno una volta la cannabis nell’ultimo anno. Praticamente un ragazzo su quattro (i ragazzi più delle ragazze, soprattutto nelle regioni del Nord e del Centro-Nord). E tutto questo avviene nel nostro Paese quando ancora la cannabis, secondo la vigente legge “Fini-Giovanardi” del 2006, è considerata illegale in quanto assimilabile alle droghe pesanti: per l’uso personale di queste sostanze “ricreative” sono previste sanzioni amministrative come la sospensione del passaporto, della patente di guida o del porto d’armi, oltre all’inserimento in un programma terapeutico. La legge Fini-Giovanardi tuttavia, nonostante la sua severità, non ha limitato il consumo di droghe leggere, ma ha contribuito notevolmente al problema del sovraffollamento delle carceri italiane.

“La repressione non funziona”: a dichiararlo esplicitamente è stata nel 2011 la Commissione globale sulla politica delle droghe, la quale ha pubblicato una relazione in cui spiega che «la lotta alla droga iniziata cinquant’anni fa è fallita» e allora «occorre sperimentare modelli di legalizzazione che colpiscano la criminalità organizzata salvaguardando la salute dei cittadini». Malgrado la repressione infatti, si stima che nel mondo vi siano oggi 180 milioni di persone che consumano cannabis (fonte: rapporto Onu del 2012).

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La repressione, peraltro, è costosa: si pensi al dispiego di forze dell’ordine, alla costruzione e al mantenimento di strutture sanitarie e carcerarie, ecc. L’eventuale liberalizzazione solleverebbe lo Stato da questi costi e potrebbe perfino diventare un introito. Nel 2005 il Dr. Milton Friedman della Harvard University, insieme ad altri 500 famosi economisti, ha chiesto, con una lettera aperta, di aprire un dibattito riguardo alla legalizzazione delle droghe leggere sulla base di numeri, anziché di ragionamenti etici: la guerra alla marijuana costa in America 8 miliardi di dollari l’anno, mentre se lo Stato tassasse e vendesse questa sostanza, potrebbe guadagnarci 10 miliardi l’anno, denaro che potrebbe essere speso per assistere i tossicodipendenti.

Un altro motivo che ha contribuito ad indebolire il tabù delle droghe leggere è stato l’uso della marijuana a scopi terapeutici: la cannabis infatti, è stato recentemente scoperto, ha effetti medici antidolorifici che possono aiutare le persone che soffrono di malattie come il cancro, la sclerosi multipla, l’epilessia. Inoltre, si è riscontrato che le molecole contenute nella cannabis stimolano l’appetito (cosiddetta fame chimica), rimedio che potrebbe essere utile per curare i disturbi dell’alimentazione, come nell’anoressia o nelle gravi forme di inappetenza in pazienti terminali o nei pazienti trattati con chemioterapia.

E se l’uso della “marijuana terapeutica” si va rapidamente diffondendo in vari Stati del mondo, in Italia questo è ancora molto difficile, anche se teoricamente consentito. Infatti, una tabella ministeriale del 2007 (decreto del 18 Aprile) permette la prescrizione di queste sostanze con ricetta medica, riconoscendo quindi le proprietà terapeutiche della cannabis, ma per contro non esistono ancora protocolli attuativi regionali, per cui per i pazienti accedere a questi farmaci è praticamente impossibile. Si tratta peraltro di farmaci molto costosi (35 euro per ogni grammo di canapa terapeutica). La coltivazione in casa della sostanza invece, anche per fini terapeutici, è tutt’ora considerata un’attività fuorilegge nel nostro Paese.

Tante sono dunque le considerazioni che deve fare il legislatore riguardo alla possibile legalizzazione: ci si deve chiedere ad esempio se, data la disponibilità della sostanza, questo aumenti nelle persone il desiderio di fare questa esperienza, generalizzando il consumo di droghe e la cultura dello “sballo”. Potrebbero infatti aumentare gli incidenti stradali, le follie e le “bravate” (es. balconing, car surfing, train planking, ecc.) di ragazzi con freni inibitori fin troppo allentati dagli effetti della cannabis. Infine, la legalizzazione delle droghe leggere potrebbe spingere la criminalità organizzata, privata di questa bella fetta di guadagno, ad introdurre sul mercato maggiori quantità di droghe pesanti.

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Tante sono le domande, le paure, le perplessità. Occorre però guardare al fenomeno con assoluto pragmatismo, perché le ideologie repressive, giuste o sbagliate che siano, come si è detto, hanno comunque fallito. Un’idea potrebbe essere quella di studiare l’esperienza dell’Olanda, dove la liberalizzazione delle droghe leggere risale agli anni settanta. Leggendo vari studi, come ad esempio questo (What Can We Learn from the Dutch Cannabis Coffee shop Experience?) sembrerebbe che nei Paesi Bassi, dove i coffee shops possono vendere solo droghe leggere in quantità limitata (non più di 5 grammi di cannabis a persona al giorno) l’esperienza dimostri che i cittadini non abusano di cannabis, non sembrano essere particolarmente interessati ad intensificare il suo utilizzo rispetto ad altri Paesi dove la droga leggera è ancora illegale, non si siano aperti al consumo di droghe più pesanti.

Concludendo, spero che la decisione di liberalizzare o meno la droga leggera non sia presa sulla base di calcoli economici, ma di idee e magari anche di ideali (purché essi non si trasformino in ideologie o pregiudizi) sulla salute, il benessere e la convivenza civile, cercando di salvaguardare i diritti di tutti: di chi desidera lo sballo per ricrearsi, ma anche di chi non vuole correre rischi personali per lo sballo altrui. Credo del resto che anche il più accanito consumatore di cannabis si senta decisamente più sicuro nel sapere che il pilota dell’aereo sul quale sta volando, prima del viaggio abbia preferito schiacciare un sonnellino, piuttosto che foglie di canapa indiana.

Dr. Giuliana Proietti

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Pubblicato anche su Huffington Post
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