Autolesionismo non suicidario – NSSI
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Nella Sezione III del DSM-5 uscito nel 2013 sono state introdotte diverse nuove condizioni mediche perché possano essere condotte ulteriori ricerche prima di riconoscerle come disturbi formali. Tra queste condizioni vi sono il Disturbo da Comportamento Suicidario e il disturbo da Autolesionismo non Suicidario. La loro inclusione nel nuovo DSM dovrebbe aiutare a capire se si tratta di etichette diagnostiche che hanno una loro utilità clinica. Negli ultimi anni infatti, lo studio dell’autolesionismo non suicidario (NSSI) è cresciuto notevolmente.
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Siamo di fronte ad un caso di NSSI quando vi è un’autodistruzione intenzionale o un’alterazione dei tessuti del corpo, in assenza di un consapevole intento suicida. I principali atti di autolesionismo riguardano il farsi dei tagli, delle bruciature, farsi del male con oggetti, colpirsi, ecc.
L’NSSI differisce dal comportamento suicida in quanto il comportamento viene messo in atto come tentativo di regolare le proprie emozioni piuttosto che per annientarsi completamente. [Favazza AR, 1998].
I tassi di prevalenza variano dal 38% all’ 82% tra le popolazioni di adolescenti sotto osservazione clinica per qualche psicopatologia [Nock MK, Prinstein MJ, 2004, Nixon MK, Cloutier PF, Aggarwal S, 2002 ], e tra il 21% e il 65% tra gli adulti [Briere J, Gil E, 1998, Claes K, Vandereycken W, Vertommen H, 2007].
I tassi di prevalenza sulla popolazione generale sono paragonabili, e vanno dal 12% al 20% tra i giovani adulti [Heath NL, Ross S, Toste JR, Charlebios A, Nedecheva T. 2009, Whitlock J, Eckenrode J, Silverman D, 2006] e tra il 14% e il 26% tra gli adolescenti [Hankin BL, Abela JR, 2011-Heath NL, Schaub KM, Holly S, Nixon MK., 2009].
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Il periodo di sviluppo dell’adolescenza sembra rappresentare un momento di particolarmente rischio per l’NSSI. I tassi di prevalenza sono infatti in questo periodo della vita significativamente più elevati ed inoltre si è osservato che la maggior parte dei giovani iniziano questi comportamenti in un’età compresa tra i 12 e i 15 anni [Rodham K, Hawton K, 2009,Ross S, Heath NL., 2002]. Nonostante si sia osservato che la maggior parte degli adolescenti cessino questi comportamenti entro cinque anni dalla comparsa iniziale, a volte essi possono persistere anche in età adulta [Whitlock J, Eckenrode J, Silverman D, 2006]. L’adolescenza rappresenta dunque un periodo dello sviluppo in cui si osserva la comparsa, il consolidamento e, in qualche misura, la cessazione di questi comportamenti.
L’autolesionismo non suicidario sembra nascere anzitutto come regolatore delle emozioni [Gratz KL. , 2003-Nock MK, 2010]. Questo modello teorico ha ricevuto sostegno empirico sostanziale tra campioni clinici e non clinici di adolescenti e giovani adulti [Klonsky ED, Muehlenkamp JJ, 2007]. Nonostante le difficoltà di regolazione delle emozioni siano dunque i precursori del comportamento autolesionistico, non appaiono del tutto chiari i fattori che possono predisporre un individuo a scegliere di farsi del male, né i meccanismi di sostegno di questo comportamento rispetto ad altre strategie di coping meno nocive fisicamente.
Alcuni studi hanno dimostrato che una visione negativa del corpo rappresenta un fattore critico di rischio [Yates TM, Tracy AJ, Luthar SS, 2008,Nelson A, Muehlenkamp JJ, 2012-Muehlenkamp JJ, Swanson JD, Brausch AM, 2005]. Come sostenuto da Orbach [1996], le opinioni e gli atteggiamenti negativi riguardanti il proprio corpo (ad esempio, il rifiuto del sé corporeo) possono ridurre la motivazione all’auto-conservazione, facilitando la decisione di impegnarsi in comportamenti autodistruttivi.
Ross e colleghi [Ross S, Heath NL, Toste JR, 2009] hanno esaminato il ruolo dei disturbi alimentari riguardo all’immagine corporea, al generale concetto di sé, al genere sessuale, studiando un campione di 440 adolescenti delle scuole superiori. I risultati hanno dimostrato che gli studenti delle scuole superiori con una storia di NSSI segnalano una insoddisfazione verso la forma e le dimensioni del proprio corpo, così come maggiori sentimenti di inadeguatezza, insicurezza, e inutilità rispetto ai loro coetanei che non mettono in atto questi comportamenti.
Brausch e Gutierrez [2010] hanno esaminato le differenze su 373 adolescenti (48% di sesso femminile) divisi in soggetti che non avevano comportamenti autolesionistici e soggetti che ne avevano. Questo ultimo gruppo era ulteriormente diviso in due, fra soggetti che avevano tentato il suicidio e altri che si limitavano all’autolesionismo non suicidario. Gli autori hanno riferito che l’insoddisfazione verso il proprio corpo era significativamente più elevata e l’autostima era significativamente più scarsa sia in coloro che avevano tentato il suicidio, sia in coloro che si procuravano lesioni corporee senza intenzione di suicidarsi. Questi risultati dimostrano che i giovani che mettono in atto comportamenti autolesionisti si vedono in modo diverso rispetto ai coetanei che non lo fanno.
Muehlekamp e Brausch [2012] hanno indagato l’associazione fra immagine corporea e NSSI su un campione di 284 adolescenti non sotto osservazione clinica (di cui il 75% erano di sesso femminile). I risultati mostrano che l‘immagine negativa del corpo funge da mediatore in modo significativo per l’ insorgenza del disturbo, ma non per il suo mantenimento. Solo gli adolescenti che mantengono una visione negativa del proprio corpo hanno probabilità di impegnarsi in comportamenti NSSI quando si trovano ad affrontare insostenibili stress emotivi.
Nelson e Muehlenkamp [2012] hanno anche indagato le differenze di genere su un campione di 251 giovani adulti (82% di sesso femminile) con e senza una storia di NSSI. I ricercatori hanno riferito che gli individui con una storia di NSSI mostrano una maggiore oggettivazione del proprio corpo, maggiore senso di vergogna per il proprio corpo, e più bassi livelli di autostima.
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Ci si potrebbe chiedere perché questi comportamenti insorgano proprio durante l’adolescenza. Anzitutto l’adolescenza è caratterizzata da numerosi cambiamenti fisici e psicologici (ad esempio, l’esordio puberale, la sessualità emergente, l’identificazione e la formazione del ruolo di genere); vi è poi in questo periodo una tendenza ad oggettivare il corpo, cioè a vederlo come qualcosa di estraneo a sé, che viene giudicato dagli altri [Levine MP, Smolak L. , 2002,Moradi B, Huang YP. , 2008]. Di conseguenza, sia i maschi sia le femmine segnalano notevoli preoccupazioni per i loro corpi durante il periodo dell’adolescenza [Lunde C, Frisén A, Hwang CP, 2007,Rosenblum GD, Lewis M, 1999].
Un recente studio longitudinale durato un anno (Duggan, J., Heath, N., & Hu, T., 2015) si è dato due obiettivi di ricerca: il primo obiettivo era quello di quello di indagare le differenze di gruppo e di genere attraverso tre dimensioni della reificazione del corpo (la vergogna del corpo, la sorveglianza del corpo, le credenze sull’aspetto fisico) nel corso del tempo. Il secondo obiettivo era quello di esaminare i fattori legati alla depressione e all’instabilità emotiva tra diversi gruppi e tra i due generi sessuali.
Lo studio ha applicato la teoria dell’oggettivazione del corpo [Fredrickson BL, Roberts TA, 1997] come lente teorica per esplorare le associazioni tra la coscienza oggettivata del corpo, i sintomi depressivi, la disregolazione delle emozioni, il genere sessuale, e autolesionismo in un campione di giovani adolescenti. La teoria nacque in ambito femminista per tentare di spiegare cosa possa significare per una donna vivere in un contesto sociale che considera il suo corpo come un oggetto, anziché come parte integrante di una persona. L’oggettivazione si esprime ed esercita soprattutto attraverso lo sguardo altrui (di un uomo, di una telecamera, ecc.). Lo sguardo oggettivante tuttavia non è sempre o solo quello degli altri: può essere interiorizzato da chi lo subisce, dando così luogo all’auto-oggettivazione, una condizione psicologica in cui si assume una prospettiva esterna a sé come modo principale attraverso cui percepirsi, in una sorta di sdoppiamento della propria persona. Più si interiorizza il messaggio dell’oggettivazione del corpo, più è probabile che l’auto-oggettivazione diventi un’esperienza stabile nel tempo. L’esperienza psicologica dell’auto-oggettivazione comporta uno stato ansioso di ipervigilanza sul corpo a cui si accompagna un senso di vergogna nei confronti dello stesso.
I risultati mostrano che la sorveglianza del corpo, che si riferisce al monitoraggio del suo aspetto e all’adozione di un punto di vista estraneo a sé, rappresenta una variabile critica per differenziare gli adolescenti sul piano dell’autolesionismo. L’eccessiva sorveglianza sul corpo può rappresentare dunque un importante fattore di rischio, associato alla continuazione del comportamento autolesionistico nel tempo, e, eventualmente, ad una sintomatologia più grave.
Altri fattori scatenanti possono essere la scarsa autostima [Brausch AM, Gutierrez PM, 2010] o i maltrattamenti infantili [Cicchetti D, Valentino K. , 2006].
Il secondo obiettivo di questo studio, relativo alla presenza di depressione e instabilità emotiva, mostra che il gruppo di adolescenti che non praticava autolesionismo aveva minori problemi di disregolazione emotiva e di depressione rispetto al gruppo degli autolesionisti. Solo chi aveva maggiore capacità di regolare le proprie emozioni e lo stress riusciva ad abbandonare questi comportamenti.
Per queste ragioni, quando si ha a che fare con un adolescente autolesionista occorre indagare le sue preoccupazioni legate al corpo, la sua capacità di gestire le emozioni e i sintomi depressivi, il concetto di sé, l’autostima, l’immagine del corpo, l’eventuale auto-oggettivazione. Gli approcci terapeutici dovrebbero concentrarsi sul rafforzamento dei punti di forza per riparare la scarsa opinione di sé, tra cui la promozione positiva dell’autostima e di un’immagine positiva del corpo per migliorare il rapporto con se stessi [Yates TM., 2009].
Ad esempio, possono essere utili i trattamenti che incorporano la meditazione mindfulness e lavorano sull’immagine del corpo [Walsh BW. , 2006] perché si acquisisce maggiore consapevolezza del corpo e della sua integrità. Inoltre, riconoscere il ruolo dell’ oggettivazione nel contesto socio-culturale durante le sedute terapeutiche può avere significativi effetti sulla prevenzione e sulla terapia.
Dr. Walter La Gatta
Fonte:
Duggan, J., Heath, N., & Hu, T. (2015). Non-suicidal self-injury maintenance and cessation among adolescents: a one-year longitudinal investigation of the role of objectified body consciousness, depression and emotion dysregulation. Child and Adolescent Psychiatry and Mental Health, 9, 21. http://doi.org/10.1186/s13034-015-0052-9
Immagine:
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