Dipendenza da videogiochi – Un caso clinico
I videogiochi sono un fenomeno relativamente nuovo sul piano culturale. Il primo videogioco della storia sembra essere stato “Tennis for Two“, un gioco inventato dal fisico William Higinbotham nel 1958. Da allora, i progressi della tecnologia e di Internet hanno notevolmente accelerato la produzione e la disponibilità dei videogiochi [Gentile DA, Choo H, Liau A, Sim T, Li D, Fung D, Khoo A, 2011].
A differenza del “Tennis for Two”, i videogiochi moderni hanno incorporato un rapido miglioramento nella grafica e negli stimoli visivi con sequenze complesse e capacità multiplayer, permettendo a vari giocatori di interagire tra loro. Secondo l’NPD Group, una società di ricerca di mercato, i videogiochi hanno incassato 15.400.000.000 di dollari nel 2013 nei soli Stati Uniti.
Nel 1996, la dottoressa Kimberly Young propose per la prima volta all’attenzione dei clinici l’uso patologico del computer, parlando di una sorta di dipendenza da pc. Oggi ci sono diverse scale e criteri per qualificare e quantificare l’uso del computer e di Internet, come l’Internet Addiction Questionnaire di Young, la Ko Internet Addiction Scale, e la Chen Internet Addiction Scale [Frangos CC, Sotiropoulos I., 2011].
Attraverso questi strumenti si è studiata la “dipendenza da videogiochi”, che ha guadagnato sempre maggiore popolarità a causa del crescente uso delle nuove tecnologie.
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La “dipendenza da videogiochi”, come implica la parola “dipendenza”, comporta aspetti biologici e sociali: una dipendenza infatti non è mai solo fisica, ma implica anche una sorta di ritiro sociale, di perdita di interesse per il mondo circostante.
Dal punto di vista clinico le dipendenze comportamentali sono ritenute discutibili, in quanto è difficile dimostrare che un individuo possa diventare realmente “dipendente” da un’attività, così come lo diventa a causa dell’uso continuativo di una determinata sostanza [Wood RTA. 2007, Carbonell X, Guardiola E, Beranuy M, Bellés A, 2009].
Oggi si tende a ritenere che alcuni soggetti diventino dipendenti da una determinata attività se hanno già in sé una sorta di predisposizione verso comportamenti di dipendenza. Si tende insomma ad evitare il riferimento a qualità intrinseche di una precisa attività, indicando piuttosto un eventuale disturbo psichiatrico primario [Krivanek J, 1988]. Questo concetto è supportato anche da studi che suggeriscono che le dipendenze sono ereditabili anche per via genetica [Bevilacqua L, Goldman D, 2009].
Altri studiosi invece tendono a vedere la dipendenza comportamentale come qualcosa di molto simile alla dipendenza fisica. Tuttavia, mentre di alcune sostanze, come la cocaina, sono noti i meccanismi d’azione a livello cerebrale, non è ancora chiaro come ciò possa avvenire negli individui con dipendenze comportamentali [Hyman SE, Malenka RC, Nestler EJ, 2006].
Si suppone, ad esempio, che certe attività possano causare una stimolazione dell’asse HPA («asse ipotalamo-ipofisi-surrene») e dei percorsi della ricompensa endogena dopaminergica. [Chaput JP, Visby T, Nyby S, Klingenberg L, Gregersen NT, Tremblay A, Astrup A, Sjödin A, 2011]. In questo senso, attività come il gioco d’azzardo e uso compulsivo dei videogiochi potrebbero causare dipendenza a causa del condizionamento operante (cioè il modo in cui le conseguenze delle nostre azioni rafforzano o inibiscono i comportamenti; se l’individuo si sente premiato, è chiaramente più propenso ad impegnarsi in questi comportamenti).
La ricerca di BF Skinner sul condizionamento operante ha dimostrato che quando il premio diventa imprevedibile (noto come rinforzo intermittente) ma abbastanza frequente, questo ha un forte impatto sulla determinazione a ripetere il comportamento. Secondo molti ricercatori però le osservazioni di cui sopra potrebbero diventare un terreno scivoloso, dal momento che, da queste descrizioni, quasi tutto potrebbe in effetti diventare “addictive”, se è piacevole o gratificante.
La dipendenza da videogiochi può essere inoltre dovuta a influenze genetiche e anche a condizionamento ambientale (attraverso l’uso compulsivo di queste attività un soggetto può evitare una realtà indesiderata, impegnandosi in un comportamento alternativo).
Per quello che riguarda l’inquadramento diagnostico, oggi l’uso patologico dei videogiochi, la dipendenza da videogiochi, e L’Internet Gaming Disorder (o IGD) sono termini spesso usati come sinonimi, dal momento che la ripetizione eccessiva di qualsiasi attività può essere adeguatamente descritta come “patologica” se interferisce con la vita di tutti i giorni [Kuss DJ, 2013].
Il DSM-5 ha riconosciuto l’IGD nel 2013; tuttavia, nella nuova edizione del manuale degli psichiatri, questo disturbo è stato aggiunto nell’appendice e non è formalmente indicato come una possibile diagnosi, in quanto il comitato che presiede alla pubblicazione della “bibbia degli psichiatri” ha ritenuto che sono necessarie ulteriori ricerche sull’argomento [Kuss DJ, 2013].
E’ noto che un eccessivo uso di videogiochi produce una serie di problemi, come l’obesità, la violenza, l’ansia, un rendimento scolastico o lavorativo più scarso, fobia sociale, depressione [Melchior M, Chollet A, Fombonne E, Surkan PJ, Dray-Spira R, 2014,Messias E, Castro J, Saini A, Usman M, Peeples D, 2011]. Inoltre, sono stati individuati alcuni fattori di rischio per il giocatore patologico, tra cui un livello più scarso di competenze sociali e una maggiore impulsività [Gentile DA, Choo H, Liau A, Sim T, Li D, Fung D, Khoo A, 2011].
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L’ American Psychiatric Association, basandosi su ricerche preliminari, ha proposto nove criteri per determinare se può esservi una dipendenza da videogame. I criteri sono i seguenti:
- Preoccupazione a causa dei videogiochi;
- Tolleranza: una quantità crescente di tempo viene investita nel videogioco;
- Fuga da stati d’animo negativi attraverso l’uso dei videogiochi;
- Perdita di relazioni / opportunità a seguito dell’utilizzo dei videogiochi;
- Ridotta partecipazione ad altre attività a causa dell’ uso dei videogiochi;
- Mancanza di sincerità con gli altri, al fine di continuare l’uso dei videogiochi;
- Uso continuo di videogiochi malgrado le conseguenze negative che essi comportano;
- Difficoltà a ridurre l’uso dei videogiochi;
- Irrequietezza e irritabilità quando si è costretti ad interrompere l’utilizzo dei videogiochi.
Secondo il DSM-5, i pazienti con dipendenza da videogiochi devono esibire una compromissione clinicamente significativa in cinque o più dei suddetti criteri, in un periodo di almeno 12 mesi. La compromissione clinicamente significativa riguarda gravi problemi sociali, emotivi, o legati al lavoro in conseguenza della dipendenza che si è venuta a creare.
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Infine, parlando di videogiochi, dobbiamo necessariamente parlare del fatto che ne esistono alcuni che contengono anche temi sessuali, come ad esempio il Grand Theft Auto e God of War games, in cui i giocatori interagiscono sessualmente con prostitute o altri personaggi femminili. I videogiochi con temi sessuali e la pornografia possono essere considerati mezzi di comunicazione molto affini, strettamente correlati [Mercer D, Parkinson D, 2014].
Un recente studio su questi argomenti (Voss A, Cash H, Hurdiss S, Bishop F, Klam WP, Doan AP, 2015) riporta un interessante caso clinico riguardante un ragazzo sud coreano di 22 anni con problemi di dipendenza da video giochi, che riportiamo al solo scopo di far comprendere quanto possa essere pericolosa la dipendenza da videogiochi, anche se apparentemente la storia ha avuto un lieto fine, anche se non completo, come vedremo.
Per semplicità chiameremo Kim il protagonista di questo caso clinico. A 22 anni il ragazzo si presentò in una clinica per la salute mentale in quanto il suo uso di videogiochi aveva cominciato ad interferire pesantemente con i suoi rapporti interpersonali e con la sua motivazione al lavoro.
Kim aveva iniziato a giocare con i videogiochi all’età di 6 anni in un contesto familiare fisicamente e verbalmente abusante. Inizialmente giocava un’ora nei giorni feriali e fino a 5 ore nei fine settimana, con limitazioni di tempo rigorosi stabiliti dai suoi genitori.
Era l’unico figlio in casa, e ci si aspettava da lui un elevato rendimento scolastico. Per questa ragione le sue interazioni sociali con i coetanei erano eccezionalmente limitate, e il tempo trascorso fuori casa era fortemente sconsigliato al bambino. Tranne un fidanzamento segreto per un breve periodo di tempo e la pratica di uno sport, Kim ha trascorso la sua infanzia e adolescenza per la maggior parte del tempo in casa, e questo lo aveva portato a ricorrere sempre più spesso ai videogiochi.
Di questo passo era arrivato a usare i videogiochi on-line per 10 ore al giorno, pur mantenendo un rendimento scolastico sufficiente per superare i suoi esami. Fino a che il ragazzo non riuscì più a stare al passo con i compagni a causa della sua abitudine al gioco. Durante il suo secondo anno di college conobbe inoltre compagni appassionati di videogiochi, arrivando a giocare fino a 14 ore al giorno.
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Il paziente ricorda: “Ho iniziato a giocare con Counter-Strike, e andavo avanti anche quando le mani mi facevano male e non desideravo più giocare perché non mi divertivo più”.
Kim cominciò ad essere assente alle lezioni, fino a che fu espulso dal college, con sorpresa dei genitori che non sapevano nulla della dipendenza e vedevano pagelle false con voti sufficienti, il che li portava a mandare al figlio delle somme di denaro per mantenersi.
La sua famiglia però, venuta a conoscenza della situazione decise di non mandare più soldi al figlio, tanto che Kim fu costretto a prendere in affitto una piccola stanza in un complesso di appartamenti periferici, dove esaurì tutti i suoi risparmi nei video-giochi, nell’affitto di casa, nel cibo cinese a basso costo e nelle pizze. Durante questo periodo, il paziente giocava soprattutto al gioco di ruolo online World of Warcraft, per 16 – 17 ore al giorno.
Il paziente ricorda: “Questo è stato senza dubbio il peggiore momento della mia dipendenza da gioco ed è stato anche il momento più buio in tutta la mia vita”.
Kim ricorda la paura e il peso opprimente che sentiva in quei giorni, in cui giocava 16-17 ore al giorno, rovinando le sue giornate, nel disprezzo dei coetanei, senza soldi, con i topi in casa e procurandosi il cibo nei bidoni della spazzatura. Questo stile di vita non era sostenibile, ed è stato a questo punto che Kim si è presentato alla clinica della salute mentale, depresso e con ideazione suicidaria, esprimendo il desiderio di ridurre l’uso di videogiochi in modo da poter ottenere un lavoro.
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Durante le sedute psicologiche però si rifiutò di cessare completamente l’uso dei videogiochi, e il solo parlarne evocava in lui immensa ansia e irritabilità. Accettò invece di ridurre sensibilmente il tempo di gioco. Ciò che più desiderava era un posto di lavoro, ma a causa di anni di isolamento sociale durante la dipendenza, la sua ansia sociale era peggiorata.
Dopo una terapia cognitivo comportamentale (CBT) durata 2 anni, Kim è stato finalmente in grado di riconoscere la sua dipendenza da videogioco, interrompere questi comportamenti e gestire la sua depressione senza farmaci. Kim è stato inoltre in grado di stabilire un programma di dieta e di sonno più regolare.
Tornò all’università, dove la sua vita sociale e le prestazioni accademiche lo soddisfacevano molto più che in passato. Per sicurezza lasciò il suo computer nella casa dei suoi genitori.
Nonostante lo sviluppo di nuove amicizie, Kim non è più riuscito ad avere una ragazza. La pornografia divenne allora la sua principale fonte di stimolazione psicosessuale.
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Il paziente descritto in questo caso di studio soddisfa tutti i criteri per la diagnosi per la dipendenza da IGD. Il suo uso dei videogiochi è infatti iniziato come una fuga dalla pressione delle aspettative della famiglia ed è aumentato nel tempo (da 1 – 2 ore di gioco al giorno prima del college fino a 16 – 17 ore di gioco al giorno prima di farsi curare). Il suo impegno nei videogiochi gli procurava scarso rendimento scolastico e difficoltà finanziarie.
Inoltre, il suo tentativo di nascondere l’uso del gioco lo ha portato ad allontanarsi dalla famiglia, ma questo non era abbastanza per riuscire a smettere. Kim ha rinunciato al college in modo da poter continuare a giocare, e quando finalmente ha deciso di chiedere aiuto perché non riusciva a ridurre l’uso del gioco in modo autonomo, ha dovuto sopportare forti stati di ansia e irritabilità.
Anche se il paziente alla fine è riuscito a vincere la sua dipendenza da gioco, in seguito ha mostrato difficoltà ad impegnarsi in relazioni sentimentali significative, abusando della pornografia. Ciò è particolarmente interessante, dal momento che uno dei criteri elencati nella maggior parte dei disturbi da uso di sostanze è “l’uso di sostanze simili.” L’uso della pornografia in questo paziente può essere considerato un “uso di sostanza simile”.
E’ inoltre difficile stabilire se l’ansia sociale del paziente sia il risultato di anni di isolamento sociale dovuto all’uso costante dei videogiochi o se la sua passione per i videogiochi sia nata per evitare le situazioni sociali. In entrambi i casi, è comunque importante identificare le potenziali comorbidità dell’uso compulsivo dei videogiochi, che riguardano ansia sociale, depressione, e uso della pornografia.
Questo caso esemplifica la complessità dei fattori psicosociali che si presentano nei comportamenti di gioco patologico. Il paziente in questo caso ha iniziato a giocare ai videogiochi in giovane età, un momento delicato per lo sviluppo delle abilità sociali. Inoltre, data la natura coinvolgente del gioco tecnologico, il paziente è stato probabilmente rafforzato dai video giochi ed ha trovato in loro un metodo di fuga dalla rigidità familiare cercando soddisfazione nell’avanzamento di livelli o completando le attività previste.
Kim ha usato i videogiochi come forma di “cura” per la sua ansia, per la sua insoddisfazione. Col tempo però la “cura” è diventata la sua malattia e, dopo essersi disintossicato dalla malattia dei videogiochi, non riuscendo a trovare una ragazza e sentendosi frustrato sessualmente, ha imboccato la via della pornografia, “una sostanza simile”.
Probabilmente Kim avrebbe bisogno di affrontare a questo punto della sua vita anche il tema della sessualità, imparando a relazionarsi con donne vere anziché con le immagini virtuali delle pornostar.
Dr. Giuliana Proietti
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Fonte principale:
Voss A, Cash H, Hurdiss S, Bishop F, Klam WP, Doan AP. Case Report: Internet Gaming Disorder Associated With Pornography Use. The Yale Journal of Biology and Medicine. 2015;88(3):319-324.
Immagine:
Wikimedia
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